-di ANTONIO MAGLIE-
In fondo tra vecchia e nuova politica c’è poca differenza: tutte e due hanno un respiro cortissimo e puntano a incassare immediatamente l’utile che una situazione contingente promette. Una conferma? Il “balletto” sulla legge elettorale prossima ventura e le improvvise conversioni da un lato di Beppe Grillo e dall’altro di Silvio Berlusconi. Conversioni che inducono ad affermare che “non olet” nemmeno la “pecunia” politica, anzi.
Questo Blog non amava il “Porcellum” e non ama nemmeno il moribondo “Italicum” figlio legittimo del primo. Chi scrive, poi, dubita che l’idea maggioritaria sia perseguibile in un Paese come l’Italia segnato da enormi divisioni socio-economiche (basta pensare al divario Nord-Sud e a tutto quel che ne consegue) che possono essere solo acuite sino al punto da impedirne la ricomposizione, da un sistema elettorale che contiene nel suo dna la drammatizzazione delle differenze. Non è un caso che i movimenti proporzionalisti siano storicamente nati e si siano affermati sopravvivendo sino ai giorni nostri in quei paesi caratterizzati da un tasso di diversità così elevato da produrre attraverso la contesa politica rotture sanguinose. Insomma, almeno per chi scrive, era meritevole di attenzione la proposta avanzata dal Movimento 5 stelle seppur non condivisibile in toto.
E quella dei pentastellati sembrava una linea convinta, una scelta basata su principi incrollabili tanto è vero che contro l’Italicum hanno condotto una battaglia parlamentare senza esclusioni di colpi. Ora, però, Grillo scrive: “La cosa più veloce, realistica e concreta per andare subito al voto è andarci con la legge che c’è già: l’Italicum”. In sostanza, non solo va bene il meccanismo osteggiato (forse perché garanzia di successo?) ma si propone addirittura di costruire il suo “doppio” per il Senato. Con buona pace evidentemente dei principi. In fondo se Parigi val bene una messa…
Conversione eguale e contraria da parte di Berlusconi. L’ex cavaliere voleva chiudere i conti co i “politicanti” della vecchia Prima Repubblica e vedeva nel maggioritario (il più spinto possibile) l’unico strumento per traghettare il Paese verso un nuovo che nessuno è riuscito a intravedere nel corso della sua permanenza a Palazzo Chigi. Ora, però, con una di quelle conversioni a “U” che solo gli ardimentosi automobilisti romani riescono a realizzare con sprezzo del pericolo e del codice della strada, ha abbracciato la causa del “proporzionale”, cioè dell’esatto opposto. Anche lui, come Grillo, per motivi contingenti: perché nella situazione attuale una coalizione con Salvini sarebbe egemonizzata (per motivi elettorali ed anagrafici) dal capo della Lega; perché grazie al proporzionale immagina di poter lucrare, pur con un consenso notevolmente ridimensionato, un profitto maggiore al tavolo della politica.
In sostanza, né l’uno né l’altro agiscono in maniera differente da Matteo Renzi che si era costruito una legge elettorale (e poi una riforma costituzionale) a misura di quel 41 per cento conquistato alle Europee del 2014. Tutti più che al Paese pensano alle personali fortune. Una classe dirigente degna di questa definizione proverebbe a volare alto, a concedersi un respiro profondo nella convinzione che la legge elettorale è una legge istituzionale nel senso che incide sul corretto funzionamento del gioco democratico e in maniera anche piuttosto rilevante. È evidente che non può reggere in eterno (non a caso non finisce in Costituzione) ma non può nemmeno spegnersi nello spazio di un mattino: deve partire dall’oggi per pensare anche a domani. E chi è chiamato a elaborarla non deve pensare tanto all’utile immediato che potrà ricavare, ma alle garanzie che domani quella legge potrà assicurare a chi, oggi in maggioranza, si ritroverà in minoranza e dovrà condurre la battaglia per tornare al governo sulla base di regole rispettabili, rispettose e rispettate. Una legge elettorale, insomma, non è un regolamento di condominio, è qualcosa di molto più serio. E questa prontezza a cogliere l’attimo fuggente dell’utile immediato fa venire i brividi e, soprattutto, dovrebbe farli venire ai più giovani.