– DI MAURIZIO BALLISTRERI –
La clamorosa sconfitta di Renzi nel referendum costituzionale ha richiamato alla memoria quella di Amintore Fanfani, toscano e democristiano pure lui (anche se con ben altro spessore culturale e politico), nella consultazione sull’abrogazione della legge sul divorzio nel 1974, commentata da una vignetta di Forattini, in cui il leader della Dc, saltava a mo’ di tappo da una bottiglia di champagne, dopo la vittoria anche allora del No.
La sconfitta di Renzi si inserisce in un trend che ormai appare inarrestabile, di contestazione all’establishment, rappresentato dal mondo finanziario ed economico e dalla politica subalterna ad esso, che si sviluppa con Brexit, passando per il no della Vallonia al Trattato di liberoscambio tra Europa e Canada e all’elezione di Trump negli Stati Uniti.
Anche in Italia, sensibilità politiche e culturali diverse, e in alcuni casi molto eterogenee, hanno fatto fronte comune per contestare la deriva oligarchica contenuta nella “Deforma” costituzionale e la volontà plebiscitaria espressa dal progetto politico renziano, ma, in primo luogo, è stato il popolo, a prescindere da riferimenti ideologici e di schieramento, a dire con chiarezza che vuole riappropriarsi della sovranità, rivendicando, in primo luogo, una nuova stagione di diritti sociali, gli stessi che costituiscono l’humus fondamentale della nostra Costituzione repubblicana.
Perciò, non si può condividere l’affermazione di Renzi, secondo cui la sconfitta riguarda solo lui: sono tanti ad uscire sconfitti dalla consultazione referendaria.
I sostenitori della democrazia competente, quelli che “il voto è un problema”, come l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (vero ispiratore della “Deforma”) o Eugenio Scalfari, teorico dell’oligarchizzazione della politica, innanzitutto; i “grandi” quotidiani, letti invero da pochi ma pieni di debiti, con i loro columnist modello americano; attori e comici strapagati come Benigni; alcuni sedicenti intellettuali, qualcuno dalla barba incolta passato con disinvoltura dalle teorie dell’Autonomia Operaia alla militanza nel Partito comunista, all’invaghimento per Nietzsche e il nichilismo sino al renzismo, tra i quali spiccano quelli che votavano Sì “perché comunque sarebbe stato un cambiamento”; presidenti delle Regioni come Crocetta in Sicilia, ulteriormente delegittimato, e De Luca in Campania (al quale le fritture avranno fatto indigestione!); agli stessi sindacati confederali, oltre alle maggiori associazioni datoriali come Confindustria, con l’endorsement finale rappresentato da accordi, come quello per il pubblico impiego, il cui contenuto economico sarà pari a meno di 50 euro netti in tre anni, a partire dal 2017, se l’Aran firmerà i contratti. E, naturalmente, il gotha finanziario, Goldman Sachs e Jp Morgan in testa, e delle istituzioni europee in campo economico, come la Banca Centrale, e politico, Juncker e la Commissione dell’Unione, oltre che di Frau Merkel. Tutti zittiti dallo straordinario successo popolare del No.
Adesso, non bisogna disperdere la bellissima esperienza politica ed umana della mobilitazione, davvero dal basso!, dei comitati per il No, trasformandoli in comitati permanenti per la democrazia costituzionale, possibile nuovo laboratorio politico per un’Italia che sappia mettere al centro gli interessi popolari: giovani, donne, pensionati, disoccupati, operai, insegnanti, ceto medio impoverito dall’Europa dei banchieri e dal globalismo economico e culturale, ribadendo ciò che disse Piero Calamandrei nel discorso del 4 marzo 1947 all’Assemblea costituente: “…da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia”.