Referendum, se l’arbitro diventa pugile

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-di ANTONIO MAGLIE-

Caruso in catanese significa ragazzo ma il Francesco che opera a Bologna non ha più l’età per esserlo e dunque quelle parole apparse su Facebook non sono attribuibili a malesseri adolescenziali, a improvvise esplosioni legate a un processo di maturazione individuale ancora incompiuto. Sono una scelta che il presidente del tribunale di Bologna ha compiuto in piena consapevolezza salvo poi pentirsi, correggersi, provare a fermare una valanga che finirà al Csm che ha già chiesto al procuratore generale della Cassazione di accertare i fatti. Ovviamente da accertare c’è ben poco. Il giudice, infatti, ha deciso, come ha detto lui stesso, di “comunicare attraverso Facebook” le sue opinioni ai suoi amici in merito al referendum.

Le opinioni sono personali e liberamente esprimibili. Ma in questo caso stona il modo, il luogo e la funzione pubblica dell’autore. Che, peraltro, dice cose piuttosto singolari da un punto di vista storico e abbastanza discutibili (e questo è più grave considerato il ruolo) dal punto di vista giuridico. Sia chiaro, non è in discussione la posizione assunta (a favore del no alla riforma costituzionale) perché quella, espressa nelle sedi giuste e in modi decisamente più consoni al senso della misura che dovrebbe orientare i comportamenti di un giudice, è pienamente legittima oltreché condivisa da molti italiani. Ma il nostro Caruso è sfuggito non tanto l’effetto boomerag (che potrebbe anche non verificarsi) ma il danno che infligge a quella toga che indossa e che dovrebbe essere simbolo di terzietà.

Dice: “Una maggioranza spuria e costituzionalmente illegittima non può cambiare la Costituzione trasformandone l’anima”. Sul fatto che sia spuria, nessuna obiezione da sollevare (ma non è che sia meno spuria l’opposizione che va dai nostalgici del Fronte Nazionale e dalla destrissima di Salvini alla residuale sinistra comunista fino all’Anpi). Sul fatto che sia costituzionalmente illegittima corrono non pochi dubbi. Più che illegittima, la maggioranza è piuttosto bizzarra dal punto di vista politico, ideologico. Ma per il resto è composta dalla somma di gruppi che si sono costituiti e aggregati a seguito dell’implosione di Forza Italia ed è guidata da Palazzo Chigi da un presidente del Consiglio che, come dice la Carta che il nostro Caruso difende, viene nominato dal presidente della Repubblica perché, giova ricordarlo, da noi il capo del governo non viene eletto dal popolo e il nome del candidato a quel ruolo sulla scheda elettorale è previsto da una legge ordinaria e come tale subordinata alle indicazioni di una legge di livello superiore come quella costituzionale. Fu una soluzione pasticciata ma che non inverte i piani né giustifica l’accusa di illegittimità costituzionale.

Aggiunge ancora rivolgendosi a chi voterà Sì con il dito puntato come un “dio sterminatore”: “Voi sarete dalla parte sbagliata come coloro che nel ’43 scelsero male, pur in buona fede”. E qui il magistrato dimostra di non essere particolarmente forte in storia. In Italia, se Dio vuole, non è attualmente in corso una guerra civile, non vanno in giro squadracce a recuperare ragazzini chiamati alla leva, plotoni di esecuzione organizzati pur punire con la morte i renitenti. Se proprio si vuole forzare la storia, che lo si faccia almeno con un po’ di moderazione.

Ma non basta. Prima del dibattito in aula, la valutazione delle prove e gli interventi dei testimoni, il giudice ha già letto e scritto la sua sentenza: “Chi vorrà spiegare questa riforma ai ragazzi dovrà dire che questa riforma e fondata sui valori del clientelismo scientifico, del voto di scambio, della corruzione e del trasformismo”. Che la riforma sia brutta e pasticciata corrono pochi dubbi che, però, questi pochi dubbi si possano trasformare in queste parole non è del tutto scontato e, soprattutto, opportuno. Il magistrato ha detto che quella era una comunicazione rivolta agli amici, quasi privata. Su Facebook? Delle due l’una: o è inconsapevole del mondo in cui vive (soprattutto quello virtuale in cui, come dice Bauman hanno successo coloro che sono portatori di sentimenti forti: paura, violenza verbale, odio, eccetera); o ha scelto la linea difensiva meno credibile. Facebook non è un luogo privato; può dare l’impressione di esserlo visto che con una forzatura lessicale ed emotiva si chiamano tutti “amici”, ma è solo un’impressione.

E qui arriviamo al punto. In questi ultimi giorni di campagna elettorale abbiamo assistito a forzature (da parte di tutti) dei comportamenti istituzionali che purtroppo lasceranno nella vita di questo Paese tracce più profonde (e negative) di quelle che i diretti interessati possono immaginare. L’altro giorno, a Roma il gruppo al consiglio comunale del Movimento 5 stelle ha deciso di trasformare un luogo che rappresenta la collettività (tanto quella che vota no, quanto quella che vota sì) in una piazza per comizi di parte e ha approvato (con le opposizioni che hanno abbandonato l’aula) una mozione in cui si manifesta “fortissimo allarme per la deriva autoritaria in atto”. Ovviamente essendo anche loro un po’ “carusi” e anche loro un po’ tentennanti in storia, hanno dimenticato che nella vicenda politica di questo paese la deriva autoritaria si è concretizzata nel momento in cui un partito, quello fascista, si è fatto Stato, occupando manu militari le istituzioni e sostituendo con strutture di partito (il Gran Consiglio) organi della rappresentanza democratica metodicamente indeboliti attraverso riforme elettorali (la Camera)). Al pari dei consiglieri comunali pentastellati, Francesco Caruso mostra poco rispetto per l’istituzione che rappresenta e alla quale viene chiesto equilibrio. Riesce difficile immaginare che oggi tutti i cittadini (soprattutto coloro che “sbagliano” votando sì) possano guardare a lui come a una figura terza perché ha deciso di entrare pesantemente in gioco indossando i colori di una parte in maniera piuttosto rumorosa. Il Csm starebbe valutando l’opportunità del trasferimento in altra sede per incompatibilità ambientale. Ma è fondato il timore che l’incompatibilità sia molto di più che ambientale perché anche uno spostamento a mille chilometri di distanza non gli restituirebbe quelle stimmate di equilibrio essenziali nell’amministrazione della giustizia.

antoniomaglie

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