Il clickbait ovvero la “droga del web”

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-di FEDERICO MARCANGELI-

Il clickbait, un problema molto annoso per il web: una deformazione dell’informazione online che ha esponenzialmente accresciuto e distorto il sistema dello scoop giornalistico. Partiamo però dal principio: cos’è il clickbait?

E’ un sistema, utilizzato molto spesso online, per catturare click (principalmente sui social o sulle piattaforme di diffusione video) e quindi guadagnare. Come dice la parola stessa, si crea un’esca (“bait” appunto) e si spinge l’utente ad un click, che lo porterà a fruire di un contenuto. L’esca in questione è il titolo, spesso fuorviante o addirittura falso. Una serie di parole che poco c’entra con l’articolo o che ne esagera volontariamente i contenuti, sfruttando anche caratteri particolarmente accattivanti come quelli in CAPS LOCK, i punti esclamativi o termini sopra le righe. Il passo successivo è cercare di capire perché questi sistemi funzionino e come riescano a catturare con costanza così tanti utenti.

La risposta è GSEP: gratuità, sensazionalismo, emozione e pigrizia.
Il primo punto è tanto ovvio quanto indicato per comprendere le dinamiche del web. Un prodotto gratuito, per quanto scadente, suscita spesso l’interesse dell’utente. Si fa leva sul fatto che non ci sarà perdita di denaro, quindi il rischio di rimanere delusi è minore rispetto alla curiosità. Arriviamo quindi di slancio al concetto di sensazionalismo, che spinge a cliccare per il solo fatto che la notizia sia improbabile o particolarmente rilevante. Il lettore è catturato da questo vortice e difficilmente resisterà alla tentazione di aprire il link. Anche perché il titolo andrà a toccare particolari corde emozionali, attraverso l’uso di argomenti sensibili o molto sentiti dalla società. Tra tutti gli elementi fin qui citati, l’emozione è la chiave di volta di tutto il meccanismo, essendo l’elemento che spinge alla diffusione massiccia di moltissime notizie clickbait. L’utente ricondividerà infatti il contenuto, sentendo una spinta morale all’azione, una sorta di dovere civico verso i suoi contatti (della serie: ”diffondi! tutti devono sapere!”). Il vero problema è però rappresentato dalla pigrizia di moltissimi lettori online che, non andando oltre il titolo, prendono per vere le prime informazioni che leggono ed instaurano una catena di disinformazione senza fine.

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Se avete assimilato il concetto di “clickbait”, non vi sarà difficile andare a collegare quest’ultimo con i contenuti proposti dalla pagina Facebook di Beppe Grillo. Moltissimi post contengono tutti i segnali tipici dell’esca da click, portando le notizie in un limbo tra sensazionalismo e pura fantasia. A titolo esemplificativo riportiamo un post datato 8 Giugno 2016, con protagonista Matteo Orfini. Il titolo riportava: “ULTIM’ORA-A ROMA CROLLA TUTTO. HANNO BECCATO ORFINI, CI SONO LE IMMAGINI. ECCO…”, mentre l’articolo conteneva alcune dichiarazioni del presidente del Partito Democratico rilasciate nel corso degli anni. Chiaramente un’esca per far abboccare migliaia di utenti e dare l’idea di uno scandalo che, in realtà, non è mai avvenuto. Ma in realtà questo è il modo in cui funzionano la maggior parte dei siti legati alla Casaleggio, come per esempio tzètzè e la Fucina.
L’articolo ha raccolto oltre 2500 condivisioni e più di 3000 reazioni, segno che la maggior parte degli utenti non abbia neppure letto cosa contenesse realmente il testo.

Questo dimostra che, pur essendo uno strumento senz’altro discutibile, rappresenta un ottimo sistema per far parlare di sé e, soprattutto, incassare gli introiti derivanti dalla pubblicità. Inutile sperare che Facebook (e simili) lo limitino, vista la mole di interazioni che questo genere di articoli suscita.

antoniomaglie

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