-di ANTONIO MAGLIE-
Il Tramonto di Sarko. L’ex presidente della Repubblica, l’uomo accusato di aver preso soldi dalla Libia per finanziare la sua prima vittoriosa campagna presidenziale (tema tornato di attualità per alcune rivelazioni proprio nei giorni che hanno preceduto le primarie della destra) per poi bombardare Gheddafi in difesa più che della libertà degli interessi petroliferi nazionali, è stato “accantonato” dagli elettori del suo Paese. Non è stato ammesso al ballottaggio che sceglierà il candidato per la presidenza. Mestamente ha annunciato: “È tempo per me di cominciare una nuova vita con più passioni private e meno passioni pubbliche”. Anche in Italia siamo stati destinatari di simili promesse: ad esempio, un sindaco di Roma garantì che il suo futuro, oltre il mandato di primo cittadino, sarebbe stato in Africa, nel volontariato. Non risulta essere partito, al contrario è approdato in televisione.
Oltreconfine oggettivamente certe promesse le mantengono. Quello che è ancora oggi il riferimento della destra repubblicana cioè Charles De Gaulle, battuto in un referendum (costituzionale) si ritirò a vita privata a Colombey les deux églises.
Ha fatto il suo tempo, Francois Sarkozy. Il suo tramonto è, in qualche maniera, il tramonto di una classe dirigente: Obama ha ormai ceduto a Trump la Casa Bianca, Silvio Berlusconi ha ceduto di fatto il timone del centro-destra italiano non si sa ancora bene a quali “eredi”, David Cameron si è fatto fuori da solo (il suicidio perfetto), Mariano Rajoi si mantiene faticosamente a galla in Spagna più per mancanza di avversari che per qualità proprie riconosciute oceanicamente dai suoi connazionali. Regge Putin che si è messo al riparo dai fastidi della democrazia a cui gli altri devono fare fronte. E lei, l’inaffondabile Angela Merkel che proprio nel giorno dell’addio di Sarkò con il quale sorrideva pubblicamente degli affanni del collega italiano Berlusconi (non una bella scena, ammettiamolo, al di là delle personali simpatie politiche), ha annunciato quello che tutti sapevano: si riproporrà alla Cancelleria del suo paese, la possente Germania.
Ci ha messo un po’ per sciogliere la riserva. Avrebbe dovuto farlo già tempo fa ma poi c’è stata l’emergenza dei profughi, quel suo ondeggiare tra egoistiche chiusure e generose aperture, il capodanno a Colonia. I sondaggi cominciavano a intristirsi e si parlava di un possibile avvicendamento. Ma Angela ce l’ha fatta ancora una volta nonostante i suoi bilanci politici non siano entusiasmanti: ha deciso di attribuirsi la leadership nella soluzione della crisi Ucraina e la questione è ancora aperta (con l’incognita Trump che adesso la rende ancora più complessa); ha imposto all’Europa, consegnando il ruolo del poliziotto cattivo dei film polizieschi americani al ministro Schaeuble, la prosecuzione della linea dell’austerità allungando la crisi e rendendo sempre più difficili le condizioni di vita di una parte consistente della popolazione del continente; ha imposto un accordo onerosissimo all’Unione (da un punto di vista economico e dal punto di vista degli ideali di democrazia visto che è stato stretto con Erdogan) per blindare i propri confini senza preoccuparsi troppo dei problemi degli altri; ha rimediato anche delle notevoli batoste elettorali ad opera della muova “dama di ferro”, Frauke Petry.
Eppure è sempre lì. E conferma la sua presenza autoproclamandosi argine contro il populismo. Cioè contro quelle spinte di destra che hanno fatto leva sul crescente e fondato malessere dei ceti popolari prodotto e acuito proprio dalle politiche che lei, Frau Angela, ha perseguito. Un vero e proprio paradosso, come quello riferibile a Obama che sul prato della Casa Bianca col gongolante Renzi accanto definisce l’austerità un problema e poi nel suo tour d’addio in terra tedesca assicura che se fosse nato da quelle parti voterebbe per lei, per l’inossidabile cancelliere, cioè per la paladina (forse non la più estremista) dell’austerità da lui tanto criticata. Anche un altro presidente americano, davanti al Muro, dichiarò che eravamo tutti berlinesi ma in quella frase c’era un robusto contenuto di idealità; in questo caso al massimo solo pubblica mozione degli affetti. Un dato, comunque, appare chiaro: è in atto un mutamento profondo i cui tratti caratterizzanti sembrano la confusione e la paura. Bisognerebbe un po’ attrezzarsi.