E il re dei cuochi è pronto a fuggire se vince il “no”

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Nelle periferie d’Italia, laddove una pizza al sabato è un evento straordinario, è scattato l’allarme. Massimo Bottura, il cuoco che gli Stati Uniti hanno eletto miglior chef del mondo, il “titolare” dell’Osteria Francescana di Modena, ha annunciato che è pronto a fare le valigie se dovesse vincere il “no” al referendum costituzionale. La notizia ha trovato ampio spazio sul “Corriere della Sera”. In una campagna elettorale ispirata al cattivo gusto, un tocco di buon gusto. Raro, riservato a pochi, cioè a coloro che per offrire la cena alla compagna sono disposti a spendere circa seicento euro (trecento a testa). Bottura lo ha detto chiaro e tondo assestando un pessimo colpo allo spread della Guida Michelin: «Il referendum è una questione culturale prima che politica. Se vince il No, mi viene voglia di mollare tutto e andare all’estero: ringrazio il mio Paese che mi ha dato moltissimo, chiudo e riapro a New York. Il punto non è Renzi, o Grillo. È la logica per cui “in Italia non si può fare”. Se passa questa logica, è finita”. Si può presumere che l’andamento del voto possa avere conseguenze su quello dei “conti” che verranno presentati alla clientela costruita attraverso una selezione “naturale” basata sulla consistenza patrimoniale. Dai poteri forti finanziari, agli umori culinari consistenti. Al di là delle scelte che ognuno di noi compirà, l’eventuale partenza di Bottura potrà dispiacere ma, con grande sincerità, non ci sentiremo orfani. Mentre immaginiamo che chi oggi gli versa trecento euro a pasto, avrà le necessarie disponibilità finanziarie per compiere la medesima operazione nel suo ristorante a New York. La cucina di Bottura sarà gradevolissima, ma il 4 dicembre si vota su un’altra cucina la cui gradevolezza non ha nulla a che vedere con le logiche poco amate dallo chef.

antoniomaglie

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