-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Dal blog di Beppe Grillo è stato lanciato un appello a Matteo Renzi e Luca Lotti: “presidente faccia ritirare quella querela presentata a Firenze nei confronti di Beatrice di Maio”. A sostegno della campagna pentastellata è intervenuto Franco Bechis, vice-direttore di “Libero”, che ha definito i tweet sotto accusa “satira” che “può non piacere, certo. Ma è satira come nelle vignette”. Nel suo intervento, Bechis ha sviluppato argomentazioni in larga misura condivisibili su democrazia e libertà. In larga misura, però, non totalmente.
Perché Bechis sa bene, avendo alle spalle studi di filosofia, che la libertà è un concetto che ha dei confini e il principale confine è il rispetto della persona umana. Da questo punto di vista non c’è un porto franco in cui tutto è consentito; né può esserlo il web perché oltre quel confine non c’è confronto democratico ma solo degrado e intolleranza.
Si tratta di un discorso generale che non riguarda Beatrice di Maio che può anche essere una persona in carne e ossa (noi ne dubitiamo e abbiamo i nostri buoni motivi ma prendiamo per buono quel che dice l’autorevole vice-direttore); è possibile anche che le sue battute rientrino nell’ampio mare della satira (ma è una tesi che con eccessiva elasticità viene utilizzata dai pentastellati, soprattutto quando si tratta di giustificare l’intolleranza verbale del loro capo, Beppe Grillo, che in realtà confonde i suoi abiti, sovrapponendo, quando gli fa comodo, a quelli del capopopolo, i più comodi del guitto). Ma sarebbe bello se questi twitter apparsi in uno degli account di Marione, vignettista ufficiale del M5s e, quindi, uno che dovrebbe maneggiare con una certa sapienza gli strumenti della satira, rientrino ancora in quel concetto di libertà che va difeso e salvaguardato. O se, al contrario, non siano di fatto, nella loro indiscutibile volgarità, un attacco alla libertà in quanto poco rispettosi della dignità delle persone prese di mira. Forniamo a Bechis questa brevissima antologia.
L’impressione è che questi tweet non siano la manifestazione più alta della libertà di espressione, ma siano al contrario solo il risultato di un irrefrenabile impulso a offendere. Offendere nella maniera peggiore colpendo le persone, al di là del ruolo istituzionale, nella loro essenza umana.
La democrazia si alimenta di tolleranza: quei commenti non sembrano ispirati a principi propriamente voltairiani. Vanno, allora, accettati e ritenuti coerenti con la lettera dell’articolo 21 della Costituzione che Bechis da giornalista dovrebbe conoscere a memoria, e come tali accettati e tutelati? Dubitiamo. Il livello qualitativo di una comunità è indissolubilmente legato ai livelli di civiltà che garantisce in tutte le sue manifestazioni: il fatto di non essere cattolico non mi autorizza a bestemmiare in pubblico perché all’interno di una collettività quel modo di esprimere la rabbia può trasformarsi in una offesa alla sensibilità di chi mi è vicino.
Il machismo, il sessismo tanto presente in certi pesanti commenti via twitter sono anche quelli momenti di satira? Perché (forse a Bechis sfugge) i bersagli preferiti di numerosi supporters pentastellati nei loro account (veri o falsi che siano) sembrano essere proprio le donne del governo, da attaccare doppiamente in quanto esponenti di un partito concorrente poco apprezzato e premiate con una carriera che sarebbe il risultato non di qualità politiche ma di “capacità” tutte femminili; d’altro canto, se queste valutazioni può farle Donald Trump che è diventato presidente degli Usa derubricandole sotto la voce “chiacchiere da spogliatoio”, perché mai dovrebbero essere vietate in questa lontana provincia europea? Esiste insomma, una differenza tra libertà e “diritto” all’offesa, alla falsità, alla diffamazione violenta e volgare, al sessismo. Così come non può essere un diritto la tendenza a inventare verità parallele tendenti solo a manipolare la realtà.
Perché poi, caro Bechis, andrebbe anche aperto un discorso sul complicato rapporto che i pentastellati (soprattutto i sostenitori più estremi ed estremisti che, in ogni caso, trovano ottimi esempi nei “vertici”) intrattengono con la tolleranza e, quindi, con l’essenza della democrazia, cioè il rispetto per le opinioni “diverse”, per chi si colloca politicamente su sponde opposte. E se dal loro punto di vista Beatrice di Maio fa della gran satira e va quindi tutelata, altri, quelli che non concordano, vanno “silenziati”. È quello che, ad esempio, avviene proprio su twitter dove viene utilizzata una sorta di censura chiamata “shadowban”. Una massa di “attivisti molto attivi” (sin sulla soglia del “cyber-squadrismo”) del Movimento 5 stelle segnala in massa un account “scomodo”. Twitter ricevendo un numero così corposo di segnalazioni lo chiude. E, allora, il dubbio si fa assillante: ma non è che nella sintassi democratica pentastellata vi siano delle pagine strappate con la conseguenza che la libertà che si rivendica a favore dei “propri” non è accettabile quando riguarda gli “altri”? Perché, Bechis, se così fosse, allora sì che ci sarebbero ragioni profonde (ben più profonde di quelle da te espresse a proposito della denuncia di Lotti) per temere sul futuro della nostra democrazia.
Ma di quale libertà di satira stiamo parlando se Jacoboni, il giornalista che ha dato notizia è stato sommerso di insulti e anche di minacce pentastellate sui suoi profili social?
O vogliamo parlare dei diffamatori di professione che vorrebbero querelare per diffamazione lui che ha solo dato la notizia?
E se se la prendono con Renzi, Lotti e Jacoboni avete una vaga idea di quello che facciano a semplici utenti critici nei confronti del M5S?
Questa è la libertà di espressione dei paraculi e degli impuniti. E non può essere accettabile che per qualcuno basti darsi la patente di “onesti” (SIC!) per comportarsi da delinquente in rete.
Domani su Libero uscirà un articolo. Udite udite, Beatrice di Maio è una persona in carne ed ossa. (Qualcuno, seriamente, ne dubitava)?
Jacoboni, con le sue paranoie ‘grilline’, ne esce completamente screditato.
Dispiace che una ragazzina sia andata di mezzo in questo fango mediatico.