Tra crisi e populismi: sinistra, ultima chiamata

PORTARE AVANTI QUELLI CHE SONO RIMASTI INDIETRO

-di CESARE SALVI-

In un celebre libro del 1944, Karl Polanyi osservava che alle “società di mercato” introdotte nell’occidente, a partire dall’Inghilterra, all’inizio dell’800, fece seguito un “contro movimento “negli anni 30 del secolo scorso, che ebbe esiti diversi: il New Deal e il compromesso socialdemocratico, ovvero forme di Stato autoritario (fino all’estremo del nazismo)”.

Dopo la seconda “grande trasformazione”, la globalizzazione neoliberista contemporanea, si avvertono i sintomi di un secondo “contro movimento”.

La vittoria di Trump può essere letta in questa chiave. Essa conferma infatti i profondi cambiamenti delle scelte politico-elettorali in corso nell’occidente. L’orientamento prevalente esprime esasperazione, protesta, sfiducia nei confronti del “sistema” (e delle élites che ne fanno parte: politici di governo, banche e finanza, “esperti”, intellettuali di supporto, grandi giornali…).

La causa di questo ΄stato d’animo ΄ mi pare evidente: il sistema sociale che queste élites hanno creato negli ultimi decenni, globalizzato e neoliberista, ha distrutto il compromesso sociale tra le classi e la condivisione di valori democratici e sociali che aveva caratterizzato la fase storica precedente.

Un numero crescente di cittadini ritiene questo sistema profondamente ingiusto e intollerabile. È un sistema che ha premiato una minoranza (a partire dal famoso “uno per cento”), ma ha peggiorato le condizioni di vita di settori  maggioritari dei ceti popolari e degli stessi ceti medi.

Disoccupazione, precariato, smantellamento dello Stato sociale, crescenti diseguaglianze, talvolta abissali, tra chi ha e non ha sono state l’effetto di scelte politiche, iniziate da Thatcher e Reagan, e proseguite – o quanto meno non contrastate – da Tony Blair (che solo il provincialismo di Renzi continua a considerarlo un modello) e anche dal centrosinistra italiano (fino al sostegno del PD di Bersani al governo Monti e all’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione).

Se un numero crescente di cittadini (la maggioranza, nel voto del Brexit e in quello Usa: Trump era contro entrambi i partiti) ritiene che i partiti tradizionali non li rappresentano, è perché effettivamente è così, e non da oggi. Si era già creato un mix esplosivo; la grande crisi iniziata nel 2007, e soprattutto il fatto che poi tutto è continuato come prima, a cominciare dal dominio del “mercato” e dei poteri finanziari, ha innescato l’esplosione.

Dalla vittoria di Trump, nulla sarà più come prima nella politica dell’Occidente. La richiesta è di un cambiamento radicale. Ma in che direzione? A sinistra ci ha provato Syriza; il risultato è stato però, bisogna dirlo, una sconfitta. La doppia vittoria di Corbyn nel partito laburista è importante, anche se andrà sottoposta (forse presto) al giudizio degli elettori. La “rivoluzione politica” di Bernie Sanders (la vera alternativa a Trump, sconfitta dalla cecità e dagli interessi del gruppo dirigente del suo partito) è stata altrettanto importante, e si vedrà se il movimento nato a suo sostegno manterrà una forza propulsiva.

Ma la contestazione delle élites può prendere inquietanti direzioni di destra.

Dopo Trump sarà la volta, l’anno prossimo, di Marine Le Pen in Francia?

L’orientamento anti-sistema può rivolgersi alle peggiori distopie: razzismo, rifiuto del diverso, nazionalismo autoritario.

Ma può volgersi anche a sinistra. Se il contro movimento negli Usa questa volta è andato a destra (a differenza di Roosevelt negli anni ’30), la responsabilità è del gruppo dirigente del Partito democratico.

Lo dicono in numeri: H. Clinton ha perso 10 milioni di voti rispetto a Obama nel 2008, e 3 milioni rispetto al 2012 (che in quattro anni ne aveva già persi 7 milioni).

Trump ha avuto invece più o meno gli stessi voti dei candidati repubblicani nelle due precedenti elezioni. Va aggiunto che l’astensionismo, rispetto al 2008, è aumentato di 3 milioni e mezzo di voti.

Il gruppo dirigente del PD Usa, compreso Obama, ha commesso un serio errore nell’imporre (anche truccando le primarie, come ha ricordato Luigi Zingales, Il sole 24 ore del 10 novembre) la candidatura di Hillary Clinton. Ha pensato – scrive Zingales – che le elezioni si vincessero con il sostegno degli amministratori delegati delle grandi imprese (tutti a favore) e non quello dei colletti blu.

Purtroppo, il distacco tra gli orientamenti dei ceti popolari e le scelte del centrosinistra non si limita agli Usa.

Le forze del socialismo europeo non sembrano nemmeno comprendere il problema. La grande maggioranza dei deputati laburisti ha tentato, anche se senza successo, di rovesciare Corbyn. Il partito socialista francese è ai minimi storici, e rischia di fare la fine del Pasok greco. In Spagna, il Psoe consente a Rajoy di proseguire il suo governo di destra. La Spd non si differenzia dalla cancelliera tedesca nella difesa delle politiche di austerità.

Renzi vuole fare il populista (la riforma costituzionale per combattere la casta, gli attacchi alla UE), trascurando che chi è al governo troverà sempre qualcuno più populista di lui.

Il quadro è tutt’altro che entusiasmante, ma il contro movimento è cominciato; quale sarà i suo esito, è difficile prevedere, ma dipende anche da tutti noi .

antoniomaglie

One thought on “Tra crisi e populismi: sinistra, ultima chiamata

  1. E’ un’analisi che in buona parte condivido, ma è questo chiamarsi fuori, abbiamo una certa età, che non convince. Anche gli esempi proposti, Sanders, Corbyn, fanno riferimento a personaggi che hanno scelto di restare nei rispettivi partiti pur non condividendo per lungo tempo le politiche particolari perseguite , e che ora hanno delle novità da offrire al loro popolo, col quale hanno magari condiviso degli errori. Sarebbe ora quindi , e onesto, aprire un discorso autocritico per certa sinistra italiana , che ha scelto in più riprese la strada della separazione, invece di scaricare comodamente su Renzi e il PD ogni colpa. Certamente il PD ha dei guai grossi, intanto però ha rappresentato in questi 9 anni un tentativo di dare risposte democratiche ,di sinistra e di governo realistiche di fronte a una classe dominante infatuata dal liberismo più sfrenato, purtroppo ancora imperante nelle politiche di austerity della tecnocrazia europea. Poi, oggi davanti a questa nuova fase, sono daccordo, in cui una parte delle classi dominanti si traveste da anti-sistema populista per gestire una protesta da lei stessa creata che rischia di travolgerla, riesumando gli spettri del nazionalismo, del localismo , del razzismo e del protezionismo, il PD sembra un pò smarrito e si affida all’intuito politico di Renzi per combattere gli epigoni tedeschi del neoliberismo, dare al paese delle istituzioni un pò più autorevoli, ma fatica a trovare con le nuove forme di protesta una connessione positiva. Se oggi si pensa di ricostruire una prospettiva di sinistra dando una spallata a Renzi, si commette un grave errore, che richiama quello commesso dai comunisti tedeschi negli anni ’30 del novecento , la tragica linea del ‘socialfascismo’ . Una prospettiva democratica passa attraverso un condizionamento da sinistra del PD , perchè la forza delle nuove destre , assieme alla presenza di una forza ambigua con tratti autoritari come il populismo 5Stelle, che assorbe la massima forza della protesta, rendono velleitaria ogni altra ipotesi e anche pericolosa per la democrazia. Ecco perchè condivido in piano l’azione di compagni come Pisapia che cercano di tessere una tela unitaria nelle condizioni di oggi in cui il nemico principale per chi si ritiene di sinistra non può essere nè Renzi nè il PD, ma una rinascita del protezionismo, del nazionalismo , del razzismo , quindi la nuova destra e anche una forza così oscura e ambigua come il grillismo.

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