-di ANTONIO MAGLIE-
Una svolta a sinistra per recuperare i Millennials, cioè quel pezzo di elettorato sotto i quarantacinque anni che sembra aver abbandonato i democratici creando così le condizioni per la vittoria alle presidenziali di Donald Trump? Sembra essere questa, secondo il sito “Politico”, la risposta alla crisi che il Partito Democratico sta attraversando dopo lo choc dell’8 novembre. Una risposta che ha anche un nome e cognome, fortemente emblematici: Keith Ellison, personaggio decisamente lontano da Trump. Politicamente (è membro della Camera dei Rappresentanti) perché viene dall’ala progressista dei democratici; anagraficamente perché ha cinquantatré anni contro i settanta del neo-eletto presidente; culturalmente e religiosamente perché è musulmano e, come è noto, ai fedeli di questa religione il nuovo capo americano vieterebbe l’ingresso negli Stati Uniti; perché è nero (sarebbe il primo nero al vertice del partito), una chiara indicazione ideologica dopo il risveglio del suprematismo bianco e dell’arruolamento tra le file dei sostenitori di Trump delle ombre inquietanti e incappucciate che si aggregano nel Ku Klux Klan.
Mo Elleithee, alto funzionario del partito, al sito spiega che si scatenerà una battaglia molto simile a quella che ha caratterizzato prima la corsa alla nomination tra Hillary Clinton e Bernie Sanders e poi lo scontro per la conquista della Casa Bianca. La cosa ovviamente non riempie di gioia un partito ancora sotto choc e che ha dimostrato di non riuscire a rimanere sintonizzato sulla lunghezza d’onda di un paese che in questi anni di crisi è profondamente cambiato. Di qui la necessità di trovare delle nuove antenne perché in molti sono convinti che la partita si gioca su due terreni: la riconquista di quei ceti popolari che hanno abbandonato la Clinton per scegliere Trump e la conquista dell’elettorato al di sotto dei quarantacinque anni che si avvia a diventare maggioritario nelle dinamiche elettorali. Di qui anche la decisione di prendersi un po’ di tempo nella scelta del capo del partito: sarebbe dovuta avvenire a gennaio, dopo l’insediamento della Clinton, ma a questo punto potrebbe slittare a febbraio o marzo.
Ellison, in ogni caso, ha già ufficialmente presentato la propria candidatura potendo contare su fortissimi sostegni. In primo luogo Bernie Sanders che ha scaldato i cuori dei giovani americani durante la corsa per la nomination, giovani che adesso guardano con un misto di fastidio e irritazione al partito democratico e che hanno accentuato questo loro atteggiamento negativo dopo l’esplosione dello scandalo che ha portato all’allontanamento dal vertice dell’organizzazione di Debbie Wasserman Shultz scoperta a sollecitare il sostegno dell’apparato alla candidatura Clinton in contrapposizione a quella di Sanders. Sanders avrebbe messo a disposizione di Ellison la lista dei suoi militanti, cioè di coloro che lo hanno aiutato in una corsa trionfale, almeno dal punto di vista morale. Ma non è il solo a puntare sul politico del Minnesota. Ellison potrebbe contare sul capo della minoranza al Senato, Chiuck Schumer, su Elizabeth Warren, che era stata indicata come possibile vice di Clinton nel ticket presidenziale, e su organizzazioni progressiste come MoveOn.org.
Al momento il “centro” del partito appare un po’ sbandato e privo di un leader a cui affidarsi per rilanciare un’immagine uscita fortemente appannata dalle presidenziali. Ciò non toglie che l’eventuale corsa di Ellison non sarà una passeggiata di salute perché altri candidati sembrano spuntare all’orizzonte. Dal presidente del partito democratico del New Hampshire, Raymond Buckley a Jamie Harrison a Xavier Becerra. E qualche ambizione sembrano coltivarla l’ex governatore del Maryland, Martin O’Malley, l’ex sindaco di Minneapolis, il giornalista Ryback e Steve Israel. In molti chiedono anche una riforma del partito dopo la storia di Debbie Wasserman Schultz. Gli esperti sottolineano che per ottenere il successo negli Stati Uniti una organizzazione politica deve poter attrarre donazioni, avere un leader da proporre alla guida del paese e una struttura affidabile. Per quanto riguarda le donazioni, quasi tutti concordano sull’idea che non ci saranno problemi e che anzi proprio l’ascesa alla Casa Bianca di Trump le moltiplicherà. A questo punto, però, si tratta di trovare una persona che rafforzi il partito a livello strutturale e, soprattutto, un leader capace di proporsi alla guida del Paese. Perché è evidente: la sconfitta della Clinton rappresenta il declino di una generazione.