“Perché votiamo sì nel referendum”

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Proseguendo nella pubblicazione dei materiali prodotti sul referendum costituzionale, tanto da chi è a favore quanto da chi è contro, per garantire il massimo di informazione possibile sul tema al di là delle posizioni individuali che su questi argomenti non possono non garantire l’assoluta libertà di coscienza, proponiamo oggi ai nostri lettori il “Manifesto delle culture socialiste”

Nel settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica è innanzitutto doveroso ricordare il ruolo decisivo esercitato dalla cultura socialista e laica, e soprattutto da Pietro Nenni, per superare le ambiguità e le incertezze con cui da più parti si affrontava la questione della forma istituzionale dello Stato, e per giungere al referendum del 2 giugno 1946 ed alla contestuale elezione dell’Assemblea costituente.

Il testo della Costituzione del 1948, tuttavia, non sempre ha corrisposto  alle esigenze messe in campo da quella cultura, ma piuttosto, come disse Piero Calamandrei, rappresentò “una rivoluzione promessa in cambio della rivoluzione mancata”; e specialmente per quanto riguarda l’ordinamento dello Stato non tenne in gran conto i suggerimenti che, attraverso il ministero per la Costituente, venivano formulati con rigore giuridico e chiaroveggenza politica da Massimo Severo Giannini e da Giuliano Vassalli.   

Anche per questo, più di trent’anni fa, fu ancora la cultura socialista e laica a porre il problema dell’adeguamento delle istituzioni, con l’obiettivo di realizzare una democrazia competitiva che fosse al tempo stesso una democrazia governante. Il progetto della grande riforma fu ostacolato  da coloro i quali ritenevano che si addicesse all’Italia una democrazia consociativa in grado di portare ad una non meglio definita “democrazia compiuta” fondata non su regole nuove capaci di riequilibrare i rapporti fra esecutivo e legislativo e fra Stato centrale ed autonomie territoriali, ma piuttosto sul superamento delle convenzioni ad excludendum che avevano a lungo delimitato a destra e a sinistra l’area di governo.

Un quarto di secolo dopo ci si trova a fare i conti con le stesse resistenze, con gli stessi rifiuti. Ancora una volta, infatti, si privilegia la riforma elettorale rispetto alla riforma costituzionale, e addirittura si condiziona il consenso sulla seconda alla modifica della prima.

Ovviamente non sfugge a nessuno il carattere strumentale del confronto in corso. A molti sfugge, invece, che lo schieramento che oggi si esprime per il no non solo è lo stesso che nelle recenti elezioni comunali ha tirato la volata ai candidati del M5s, ma per di più appare del tutto incapace di indicare un percorso per quella riforma del sistema politico che oggi è più necessaria di quanto non lo fosse negli anni ’90.   

Noi invece, in coerenza con le buone idee che mettemmo in campo per tempo e che altri ebbero il torto di non recepire, non abbiamo difficoltà a schierarci a favore di questa riforma costituzionale. Sappiamo peraltro che con questo referendum non si chiude la pagina delle riforme istituzionali, ma anzi la si riapre dopo un ventennio di retoriche propagandistiche sul tema. Ed in questa prospettiva auspichiamo che gli elettori, anche trasgredendo le indicazioni di gruppi dirigenti avventuristi ed autoreferenziali, inducano le forze politiche ora rappresentate in Parlamento a fare proprio quello spirito costituente che settant’anni fa portò l’Italia fuori dal caos.

Gennaro Acquaviva, Salvo Andò, Mario Artali , Luigi Covatta, Ugo Finetti, Pia Locatelli,  Riccardo Nencini, Gianni Pittella, Carlo Tognoli.

antoniomaglie

3 thoughts on ““Perché votiamo sì nel referendum”

  1. È un testo pasticciato che rende complicato e conflittuale i procedimenti legislativi e soprattutto è reso inaccettabile dalla assurda cancellazione del diritto di voto e di scelta per il Senato e le Province. In questo modo si fa un colpo al principio fondamentale della sovranità popolare sancita nella Costituzione
    Per questo voterò NO al Referendum da Socialista per riproporre la nostra scelta coerente di una Assemblea Costituente che, con un tempo predeterminato, presenti un testo migliore limitandone ad alcuni articoli e naterie comprensibili, compresa l’eventuale soppressione del Senato stesso.

  2. Mi viene da ridere leggendo Riccardo Nencini che parlando dei gruppi dirigenti di altri partiti li giudica “autoreferenziali”. Così come trovo ridicolo il riferimento al fatto che il “fronte del No” (che, infatti, non è un fronte, com’è invece l’alleanza di governo che sostiene il SI) non sia in grado di esprimere un disegno condiviso. E vorrei vedere! Trattandosi di un referendum, si tratta solo di stabilire se si condivide la regressione antidemocratica (concentrazione nel govereno anche del potere legislativio) e neocentralista (sottrazione di poteri alle Regioni e ripristino della loro subordinazione gerarchica allo Stato centrale) della legge costituzionale da respingere o da accettare. Non è più un problema il presidenzialismo di fatto cosneguente all’italicum, visto che il ballottaggio nazionale sarà eliminato e l’intera legge archiviata: o perchè il 4 dicembre vince il NO (come io faccio quello che posso perchè accada), o perchè la uccide la Corte costituzionale o perchè, in caso di vittoria del SI, sarà dato corso alle indicazioni contenute nel foglietto approvato la settimana scorsa dalla Commissione interna al PD per definire le modifiche da apportare all’italicum stesso. C’è qualcuno che dubita che, in caso di vittoria del Sì, Renzi dia coerentemente corso a quelle indicazioni?

  3. Il vero salto nel buio è votare sì. Perché è una riforma pericolosa e antidemocratica. Tutti i socialisti dovrebbero lottare per il no, io nel mio piccolissimo lo faccio. Continuando a inseguire Renzi, come i dem. americani la Clinton, ci ritroveremo le peggiori destre al potere. Cordiali saluti.

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