Usa, attenti all’effetto imitazione

donald-trump-presidente-degli-stati-unitiil-portavoce-della-clinton-andate_1133efec-a641-11e6-ba7f-17371a38e720_700_455_big_story_linked_ima  – di SILVANO VERONESE –

Sorprendente, ma fino ad un certo punto, Donald Trump è stato eletto 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. L’uomo solo contro tutti e contro tutto ha sbaragliato la candidata democratica Hillary Clinton, la quale – pur essendo molto impopolare sul piano umano – godeva dell’appoggio incondizionato del suo partito e di molti “poteri forti” nonché del Presidente uscente che si è speso con insistenza encomiabile a suo favore, era stata la influente first lady di un popolarissimo Presidente, era stata Segretario di Stato fino a 4 anni fa.

Insomma, una donna di potere, e forse, proprio tutto cio’ – agli occhi dell’elettorato medio deluso ed arrabbiato per la situazione di arretramento della propria condizione – è stato il motivo della sua sconfitta contro un candidato considerato dalla stampa e dai commentatori di tutto il mondo come impresentabile.

Donald Trump aveva contro tutto l’establishment, il suo Partito (cosa mai successo prima d’ora in una elezione presidenziale), i grandi organi di stampa, i grandi poteri finanziari (oggi le Borse di tutto in mondo, compresa la nostra di Milano, perdono enormemente), la grande maggioranza dei sindacati e delle grandi imprese. Aveva inondato la sua campagna elettorale di gaffes e di stravaganze imperdonabili, appariva (almeno agli occhi di noi europei) un personaggio inadeguato ad assumere la carica di governante piu’ importante del mondo. Tuttavia ha vinto, anche in alcune roccaforti tradizionalmente democratiche.

Questo risultato si collega a certi fenomeni politici che stanno investendo in maniera sempre piu’ diffusa le democrazie occidentali che si possono riassumere in un sentimento antipartitico ed anti-establishment, di populismo protestatario e ribellistico e persino, di rincorsa ad atteggiamenti di “autoritarismo” e di razzismo propri di un triste passato che si credeva morto e sepolto.

Ma sul piano sociale, Trump ha dato voce al disagio e al malcontento della classe media, impoverita e colpita nel suo “status” dagli effetti della globalizzazione che si è fatta sentire anche nell’economia americana ed ha persino raccolto consensi anche fra le classi piu’ emarginate degli afro-americani, tutti soggetti che sfogano la loro rabbia reclamando un generico “cambiamento”… quel cambiamento che era stato promesso ma non garantito da positivi risultati da Barack Obama e dalla sua “erede” Hillary Clinton.

La diffidenza, fino ad oggi era stata anche ostilità, dei gruppi dirigenti delle grandi democrazie occidentali – alleate degli USA – rimane ma essi dovranno fare i conti con Trump perché è il nuovo Presidente del Paese piu’ importante della terra. Riuscirà Trump a vincere questa diffidenza con atti e modi di governo diversi da quelli manifestati durante la campagna elettorale? Non saprei dare una risposta a caldo perché ha fatto promesse esagerate e dirompenti come, ad esempio, la volontà di rinegoziare gli accordi mondiali sul libero scambio che lo porterebbe in rotta di collisione con l’Europa e forse anche con la Cina.

Una cosa è certa, siamo di fronte ad un fenomeno politico storico, sul quale dovremmo riflettere anche noi per l’effetto imitazione che potrebbe suscitare nel nostro Paese, alle prese con inquietudini, delusioni e rancori contro le istituzioni e i poteri tradizionali.

Una cosa, in tutto questo quadro, appare positiva: c’è anche un vincitore morale, il senatore del Vermont Bernie Sanders, forte competitor della Clinton alle primarie democratiche che si è presentato come socialista, raccogliendo attorno a sé molti giovani, con un programma riformatore e facendo riscoprire negli USA i valori socialisti, certo della libertà ma declinata come libertà dal bisogno, e soprattutto quelli della solidarietà e dell’uglaglianza. C’è, dunque, da sperare per il futuro.

antoniomaglie

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