Riforma costituzionale: se piace alla finanza, può piacere anche a noi?

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Domanda del giorno: perché mai mondo politico e mondo mediatico hanno fatto a gara per legare l’aumento dello spread al prossimo referendum costituzionale? Si sa bene come vanno queste cose: c’è un milieu “sfuggente” che lavorando nascostamente e alacremente sugli indici di borsa, può determinare queste condizioni rafforzando coram populo l’idea che esista un clima di incertezza legato alla consultazione e puntando così a far lievitare il convincimento che dietro una risposta negativa al quesito vi sia solo il diluvio, il crollo del Paese. I segnali ci sono tutti: capi di Stato (Obama compreso) che confermano autorevolmente il concetto; ministri stranieri che si incamminano sulla strada di una ingerenza a dir poco discutibile visto che agli italiani interessa poco come si organizzano i tedeschi o i francesi che di costituzioni ne hanno cambiate parecchie; e poi la Confindustria, le banche, i circoli finanziari. Ecco, il quesito è proprio questo: perché mai alla finanza la riforma di Matteo Renzi piace tanto? E ancora: se questa riforma è gradita alla finanza che in questi ultimi decenni ha contribuito pochissimo a rendere il mondo e l’Italia posti migliori, può allo stesso tempo incontrare il gradimento di chi, come la gente normale, ha pagato il conto più alto della crisi mentre gli altri (pochi, privilegiati e protetti), riparandosi con gli “ombrelli” messi a loro disposizione dai circoli finanziari, continuavano ad arricchirsi e a rendere sempre più disuguale la distribuzione della ricchezza?

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