–di SANDRO ROAZZI-
Sorte curiosa quella delle previsioni sul futuro dell’economia: anche se allungano il periodo di analisi restano confinate in quella riserva indiana costituita da variazioni di decimali. Ad uscire da questa… costrizione ci ha provato l’Osservatorio delle banche-imprese, Obi, che ha allungato lo sguardo al triennio 2017-2020, ovviamente senza poter considerare le conseguenze del terremoto ed i cambiamenti internazionali (Clinton o Trump?).
La prima osservazione riguarda il divario nord-sud: la notizia non è per nulla buona in quanto è destinato ad allargarsi con una media nazionale del Pil che dovrebbe viaggiare sull’1,5% annuo (ottimistico?) e quella del Mezzogiorno attestata attorno all’1%. Peggio ancora l’occupazione con incrementi assai modesti, dell’ordine dello 0,5%. L’economia italiana secondo la rilevazione dell’Obi accentuerà le caratteristiche di un andamento a pelle di leopardo che potrebbe accentuare le diseguaglianze anche all’interno delle stesse zone, pur mostrando un andamento positivo ma lento.
Le prospettive migliori nel prossimo triennio dovrebbero riguardare due regioni, Lazio e Marche, con un Pil che sfiorerebbe il 2%. Segue l’Emilia Romagna con un +1,7% dovuto in parte alla ricostruzione post-terremoto. Si delineano così zone di crescita più accentuata come il Tirreno centrale ed il Piemonte meridionale, aree del nord Est e della Sicilia meridionale, ma anche zone che non riusciranno a tornare ai livelli pre-crisi come territori collocati in Abruzzo, Campania, Sicilia, in alcune province del nord ovest.
Certo, non tutto è nero: ad esempio mostrano una certa vivacità comuni del sud come Avellino e Caserta. Ma il Sud va… sotto anche in termini di valore aggiunto rispetto agli altri scacchieri economici del Paese: il suo 1% si confronta con l’1,4% del nord ovest e l’1,7% del centro. Gran parte dello sviluppo lo si dovrà ai servizi con l’industria assai distanziata (79,9% contro 12,9%). L’ andamento della produzione sarà trainato dall’alimentare e dagli insediamenti dell’auto (Fca).
Ma non ci sarà da aspettarsi balzi in avanti sull’occupazione le cui percentuali di aumento vedono in testa il Lazio con un +1,4% e l’Umbria con un +1,3% ( bene industria e servizi, non bene l’agricoltura). A sorpresa invece svetta la performance della Valle d’Aosta In termini di produttività, seguita dalla Emilia Romagna ma molte aree del Paese faticheranno ad avvicinarsi ai livelli antecedenti la recessione.
Ed il Paese cova anche aree di decrescita, nella dorsale appenninica, in Sicilia ed in Sardegna. Dinamismo (secondo il detto di Augusto: festina…lente) ed emarginazione, fra questi due estremi l’Italia è chiamata ad affrontare il problema più serio: ridare alla economia una fisionomia meno contraddittoria. Un’impresa, di questi tempi ed in quelli che verranno, non da poco.