-di GIULIA CLARIZIA-
Ho delle scarpe fuori moda e usurate. Voglio così ardentemente delle scarpe nuove, che entro in un negozio e ne compro un paio, anche se non sono del mio numero. Con le scarpe del numero sbagliato però, si cammina male.
Questo è ciò che fa, a mio parere, chi accetta la riforma costituzionale perché bisogna fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di cambiare.
Io sono giovane e non ho paura di cambiare. Non ho neanche paura, però, di rifiutare una riforma costituzionale (e istituzionale) che non sembra essere fatta per rispondere realmente a uno Stato arrugginito, ma che appare piuttosto come un’accozzaglia di compromessi mal formulati tra passato e futuro, compromessi poco sensati e risolutivi.
Il supporto o il rifiuto di questa riforma, non è determinato da fattori generazionali. Non vi si deve applicare l’immagine classica dei giovani che sostengono il sì e il cambiamento, e gli anziani che vogliono mantenere lo status quo. La costituzione non è solo un complesso di norme che produce un sistema istituzionale, è un complesso di valori civili e politici, è storia che evolvendosi produce futuro, è la sintesi di una religione civile che reclama diritti considerando allo stesso tempo i doveri un pezzo essenziale del principio di libertà. La Costituzione è la vita delle persone associate in comunità, senza distinzioni anagrafiche, oltre che di sesso, di razza, di religione, credo politico, eccetera. Bisognerebbe andare alle urne armati di questi valori per capire, nel segreto non di una cabina ma della propria coscienza, se dai cambiamenti proposti quel patrimonio valoriale viene rivalutato o, al contrario, svilito.
Renzi punta alla rottura con il passato, a rottamare quello che non funziona. Toni giovanili, slanciati verso il futuro. È un filo rosso che collega tutta la campagna propagandistica del premier, da quando ha lanciato l’assalto al “locale palazzo d’inverno”, quello in via del Nazareno: in questa narrazione del “fare” la retorica riformatrice sciorinata sui temi costituzionale rappresenta solo la continuazione (con il paradosso che i sondaggi dicono il contrario e cioè che per il sì sono soprattutto gli anziani). Creare un futuro per i giovani, risparmiare per i poveri. Fette della società che dovrebbero beneficiare di questa riforma costituzionale contrapposte a un nemico che vuole boicottare il tentativo di fare un passo avanti: il vecchio, e non solo l’anziano, ma tutti coloro che vorrebbero rifiutare questa nuova mentalità progressista.
La riforma costituzionale però dovrebbe riguardare tutti e considerare la società nella sua interezza, invece di fare appello a categorie che così si sentono chiamate in causa. “Se vince il no, non cambia niente”, dicono, e così ci si sente investiti dal dovere, proprio come giovani, di essere artefici del cambiamento che farà spuntare la luce alla fine del tunnel. Il problema di questa retorica sta, appunto, nel fatto di essere una retorica. Parole, poco aderenti con la realtà, che non portano chiarezza ma solo confusione, puntando su una stanchezza nei confronti della politica in senso lato che nel nostro paese è sempre più forte. E in qualche misura radicata, figlia del passato: Guglielmo Giannini e il suo “Uomo Qualunque” che non voleva impegni civili, obblighi morali, il quieto vivere o il vivere quieto senza il fastidio dei partiti, della partecipazione, dell’essere dentro le cose perché poi è pi comodo guardarle dal di fuori. Con la mia carta di identità leggera non cerco un nemico, né un campo di battaglia in cui far misurare il vecchio e il nuovo, né tantomeno una rottura fine a se stessa: cerco solo chiarezza e arricchimento.
Una delle questioni principali che vorrebbero superare gli elettori favorevoli all’approvazione della riforma costituzionale è la così detta “navetta parlamentare”, cioè il doppio passaggio parlamentare (prima Camera, poi Senato o viceversa) per l’ approvazione delle leggi. Quello che sento dire in giro è che questa doppia conferma, nata come una forma di garanzia per i cittadini, rende adesso, nella società della comunicazione veloce e della finanza rapace ancor più rapida, il processo legislativo lento. Infatti così com’è “basta che venga cambiata una virgola, e si ricomincia da capo”. Ma questo è un errore di valutazione: non è il rimbalzo tra le Camere a rallentare il processo legislativo, ma le tattiche ostruzionistiche extra-parlamentari che caratterizzano la vita di maggioranze poco coese, molto spesso rissose e comunque sempre alla ricerca della soluzione più favorevole da dare in pasto al proprio elettorato. Prendiamo il caso della legge sulle unioni civili. La discussione sul DDL Cirinnà è iniziata a fine gennaio 2016, ed è terminata a maggio. Cinque mesi circa, non perché la legge dovesse essere approvata sia alla Camera che al Senato, ma per le infinite discussioni, richieste di aggiornamento, tentativi di bloccare la votazione, alleanze tradite.
Alla luce di questo, allora mi domando : il problema è il sistema o l’atteggiamento poco costruttivo, per non dire ostruzionistico, di chi siede in parlamento? Se chi fa le leggi invece di non sentirsi vincolato da mandato (nel senso positivo della formula) al contrario agisce solo per il bene personale o di partito, è pensabile che cambi atteggiamento solo perché dal bicameralismo si passa al (quasi) monocameralismo? Il docente di Diritto Pubblico e costituzionalista Massimo Siclari in occasione della conferenza presso l’Università di Roma Tre sulle ragioni del sì e del no ha detto: “Se il problema è politico, perché si vogliono toccare le istituzioni?”. È come curare il sintomo ma non la malattia.
Per non parlare del fatto che la nuova Costituzione farebbe nascere una camera dotata comunque di parziali poteri legislativi, ma che non è direttamente eletta dal popolo, e che tra l’altro avrebbe voce in capitolo sulle questioni più delicate, come leggi costituzionali ed elettorali. Inoltre, il nuovo Senato sarebbe soggetto alle durate dei mandati degli organi delle istituzioni territoriali dalle quali i senatori sono stati eletti. Questo comporterebbe un’instabilità in termini di maggioranze poiché ci sarebbe una variazione non omogenea dei suoi componenti.
Un senato composto da consiglieri regionali e sindaci ai quali, poi, si aggiungono senatori “speciali” nominati dal Presidente della Repubblica per meriti di varia natura resi alla patria, persone che evidentemente poco avrebbero a che spartire con una assemblea che dovrebbe rappresentare le componenti territoriali.
E poi, fare il sindaco è una cosa, fare il senatore un’altra.
Non sarebbe stato più semplice ipotizzare una camera delle regioni eletta dai cittadini? Beh, no, perché, si dice, in questo modo i senatori non ricevono indennità, visto che i consiglieri regionali e i sindaci hanno già il loro stipendio, e quindi si risparmia. In pratica ci affidiamo al ”cottimo” istituzionale o, peggio ancora, al paghi uno e prendi due come al supermercato. Ma veramente vale così poco la funzione pubblica? Senza contare le spese che i consiglieri-senatori “fuori sede” dovrebbero sopportare e che qualcuno dovrebbe comunque pagare. Dubito che pagheranno di tasca propria. Ma questo dettaglio semplicemente viene ignorato. Si dice che sia il metodo più diretto per tagliare le spese in uno dei paesi in cui i parlamentari hanno le indennità più alte in Europa. Non so voi, ma io mi sento presa in giro.
Non si può votare “sì” per dare continuità a un governo, o “no” per mandarlo a casa. Qui non si parla di essere pro o contro Renzi, si parla dell’Italia. La riforma costituzionale dovrebbe andare ben al di là dello schieramento politico che lo propone, dovrebbe essere un lavoro gestito in maniera unitaria e che unisce perché al di sopra delle questioni di partito, ma questo, presuppone una coscienza politica diffusa che intorno a me purtroppo non vedo, né a partire dall’alto, né dal basso, e questo dovrebbe far riflettere.
Ci vuole coraggio per cambiare, ma ci vuole coraggio anche a dire no per non accontentarsi. Come studentessa e come giovane cittadina, penso che con la costituzione del 1948 ci sia stata lasciata sia una bella eredità. Non tanto nelle strutture istituzionali che si possono cambiare se obsolete, ma per il messaggio di fondo e il metodo. Valori da cui non dovremmo prescindere.
La nostra costituzione celebra l’unità, la rinascita, il compromesso nobile. Quello che vedo oggi è opportunismo e scarsa competenza.
È meglio un sistema vecchio e solido piuttosto che un sistema confuso e che ispira ben poca fiducia solo per lanciare un messaggio. Cambiare? sì, ma in meglio, e chiaramente non così.
Bravissima, pienamente condivisibile. La riforma è oltretutto un furto di democrazia molto pericoloso. Io non ci sto e dico di NO.
NO NON CONDIVIDO IL VOSTRO NO.
SONO PER ILCAMBIAMENTO.