– di FRANCESCA VIAN –
Vorrei oggi tornare sulle parole d’autore che vennero dette a Nenni. Tra esse c’è la splendida frase di Luigi Pintor, giornalista del Manifesto, che lo definisce una vedetta. Così come il marinaio sta nel punto più alto della nave ad osservare l’orizzonte, per proteggere tutta la nave, Nenni fa la parte della vedetta, ma a differenza della vedetta della nave, Nenni deve pagare un certo prezzo di “maltrattamenti” per la sua acutezza. Il testo di Luigi Pintor, grande giornalista romano, scomparso nel 2003, merita di essere interamente riproposto.
Anche noi ci congratuliamo col vecchio Nenni per la sua ascesa (irresistibile) alla presidenza del partito socialista. Miglior cosa sarebbe stata, si capisce, la presidenza della Repubblica. E ancor più meritata una presidenza, magari onoraria, di tutta la sinistra istituzionale, unificata o no che sia. Valga questo come augurio per l’avvenire.
Ci congratuliamo perché Nenni vede riconosciuta e premiata una virtù che gli è costata in passato ogni sorta di maltrattamenti. E’ la virtù del pioniere, del battistrada, della vedetta, del capofila, che vede oltre l’orizzonte e anticipa i tempi.
E prima è trattato da visionario, dagli amici prima ancora che dai nemici, per esser più tardi imitato ma senza gratitudine.
E’ un destino. Così accadde nel primo dopoguerra, quand’era lui più unitario e frontista del Pci, e si vedeva snobbare l’alternativa socialista e scavalcare nel dialogo con la Dc. Così accadde quando reinventò d’un colpo l’unificazione socialista, dieci anni prima che il Pci proponesse il partito unico dei lavoratori.
Così accadde con l’incontro storico precocissimo tra socialisti e cattolici, che ingelosì oltremodo il Pci dando origine a una catena di “salti di quaglia” tuttora in corso. Così accadde con l’ingresso nella stanza dei bottoni, primo esito pratico della vocazione governativa e nazionale di tutta la sinistra.
Le ha inventate tutte lui, tra l’altro con una fantasia linguistica meritoria, che gli costò invece critiche ben più demolitrici di quelle che oggi colpiscono le formule di Berlinguer. Sua la satira contro la “ginnastica rivoluzionaria” oggi banalmente detta “avventurismo” o anche “rincorsa salariale”. Suo il ripudio della politica “muro contro muro”, immagine passata di peso nel bagaglio di ogni medio comiziante bolscevico. Sua la “politica delle cose”, detta oggi preferibilmente degli “obiettivi concreti”, come suoi i concetti similari circa “l’incidere”, “l’incalzare” e lo “stimolare” in riferimento agli equilibri della Dc, per non dire del “meno peggio” in riferimento alla natura dei governi possibili.
Non formule vuote, tuttavia, ma itinerario politico fondato su una coraggiosa revisione dottrinaria, nientemeno che su tre questioni così elencate nella paterna “lettera ai compagni” del 1965: “il concetto di stato”, “il concetto di classe”, “il concetto stesso di rivoluzione”. Stato come entità autonoma da svolgere ai propri fini, classe come criterio comprensivo di tutte le forze del lavoro, rivoluzione come approdo democratico della società a forme più elevate di convivenza. Lungi dall’essere “piccolo cabotaggio”, il centro-sinistra nenniano si fondava su questi soliti presupposti, così solidi che il vecchio leader profetizzò avrebbero indotto presto o tardi il Pci “a una di quelle severe autocritiche che Gramsci fece degli errori di settarismo negli anni dal ’21 al ’26, o da quelle ancor più severe che Togliatti fece dell’Internazionale comunista in Germania negli anni dal ’27 al ‘33”.
Bisogna dire che già allora, quando Nenni diceva queste cose, molti al vertice del Pci le sentivano affini, e ci polemizzavano più per diffidenza o invidia e gelosia di partito, che per convinzione politica e ideale. Non trovavano infatti neppure gli argomenti adatti, e incaricavano della confutazione i settari della sinistra interna. I quali poveretti, gratificando di molti epiteti irrispettosi il vecchio leader socialista (mai però lo chiamarono traditore), credevano di farlo in nome di una politica diversa, mai immaginando di combattere invece, in Nenni, non un socialdemocratico di ritorno bensì l’avanguardia di un futuro e molto più universale “compromesso storico”.
Ora l’autocritica c’è stata nei fatti, se non nella forma. Nenni non è più maltrattato ma riconosciuto, e non saremo noi a fare eccezione. Il suo buonsenso ci appare infatti come il più ragionevole compendio di un fallimento storico che ha ben altri responsabili; e semmai ci dispiace che l’unica sua ispirazione amica sia anche la sola che continua a conoscere un insuccesso totale nella sinistra storica come in tutta la politica nazionale: l’assenza di faziosità, vaga eco libertaria (Luigi Pintor, Una nomina meritata, “Il Manifesto”, 1 novembre 1973, pagina 1).
Nenni dedica a questo articolo qualche riga del suo diario, riportandone una breve parte. I diari del 1973 sono rimasti inediti per molto tempo e sono di recentissima pubblicazione (Pietro Nenni, Socialista libertario giacobino, Venezia, Marsilio, 2016, a cura di Paolo Franchi e Maria Vittoria Tomassi).