La cattiva scuola (4) dei presidi “aziendalisti”

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-di VALENTINA BOMBARDIERI-

La “buona scuola” di Matteo Renzi ha stravolto completamente il ruolo dei presidi. Ma partiamo dall’inizio. Dal non lontano 1997. Anno in cui è stata emanata la legge sull’Autonomia scolastica. La Legge n. 59/97, sull’Autonomia appunto, ha attribuito ai Capi d’Istituto la funzione dirigenziale, trasformando i Presidi e i Direttori didattici in Dirigenti scolastici.

Schematizzando, il Dirigente scolastico deve:

  • gestire la scuola dal punto di vista organizzativo, quindi gestire l’organizzazione delle attività scolastiche, le pratiche finanziarie e tutto ciò che ne deriva (presidenza del Collegio dei Docenti, Docenti, Consigli di Classe, Comitato di valutazione e della Giunta esecutiva del Consiglio di Istituto e di conseguenza l’esecuzione delle delibere);

  • rappresentare legalmente la scuola;

  • assicurare la qualità della formazione, la collaborazione culturale, professionale, sociale ed economica del territorio interagendo con gli Enti locali, la libertà di scelta educativa delle famiglie e il diritto di apprendimento.

  • Gestire le risorse umane e strumentali, formando le classi, il ruolo docenti e il calendario delle lezioni.

Fin qui tutto bene. Fino a che la nuova riforma della scuola ha trasformato il Preside in un manager di un’azienda privata. Vediamo perché. I commi 79 e 80 della legge della Buona Scuola, prevedono che dall’anno scolastico 2016/17, siano i Dirigenti a coprire i posti dell’organico dell’autonomia, prioritariamente posti comuni e di sostegno, proponendo incarichi triennali (quella che è stata diffusamente definita “chiamata diretta”) ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento. La proposta di incarico ai docenti viene formulata in coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa e sulla base del curriculum, delle esperienze e delle competenze professionali e anche di un colloquio.

E non finisce mica qui. Il comma 127 attribuisce, infine, al Dirigente scolastico il compito di valorizzare il merito dei docenti di ruolo tramite l’assegnazione di una somma di denaro, retribuita dall’apposito fondo previsto dal comma 126. I criteri per individuare gli insegnanti più meritevoli vengono stabiliti dal novellato Comitato di valutazione.

Siamo stati nelle scuole e i dirigenti scolastici lamentano l’assegnazione d’ufficio di docenti non richiesti da parte degli Ambiti Territoriali Provinciali di riferimento, senza che di fatto siano stati valutati i curricula personali e professionali degli insegnanti assunti. Risultato? I pochi professori che sono stati chiamati sono stati ridotti a dei supplenti, dei veri e propri tappabuchi. Altri sono costretti ad assistere il collega che insegna la stessa materia. In una sorta di compresenza. Come se fossero stati assunti in prova.

Ci sono inoltre insegnanti, così dichiara un Preside di Roma, che erano stati scartati durante i colloqui e sono stati poi assegnati d’ufficio dagli URS.

Guardando all’Italia la situazione è veramente desolante. Un istituto su sei è senza dirigente scolastico. Addirittura in alcune regioni del Nord senza preside è una scuola su tre. Risultato? Un preside si trova costretto a coprire più scuole. Con le oggettive difficoltà che ne derivano.

Senza parlare poi della novità che sarà attiva dal prossimo anno scolastico. Le pagelle per i Presidi. Quattro livelli di giudizio: per un raggiungimento degli obiettivi che può essere “pieno”, “avanzato”, “buono” o “mancato”. Se i presidi saranno bocciati possono essere trasferiti o licenziati. A procedere alla valutazione ci sarà un comitato composto da un ispettore, da un preside e da un tecnico di organizzazioni, che valuteranno anche un “portfolio” del dirigente, con il suo curriculum, il piano triennale di offerta formativa, il piano di alternanza scuola-lavoro, il patto educativo di corresponsabilità, il regolamento d’istituto.

Se il Preside sarà promosso avrà un aumento di stipendio fino a mille euro. Nella valutazione – che comprenderà un’autoanalisi, le prove Invalsi, l’utilizzo del fondo dell’istituto, la distribuzione del buono ai professori e i criteri della chiamata diretta di questi – il 60% del peso è attribuito all’organizzazione della scuola, alla crescita, alla capacità del preside. Il 30%, invece, riguarda l’impegno e la capacità di valorizzare il personale, la formazione, la ricerca; il 10% l’apprezzamento dei docenti con “dati e riscontri da parte degli stakeholder”, cioè tramite un questionario sottoposto a genitori e alunni.

Nella speranza che questi controlli possano essere il più possibile imparziali, ci domandiamo se un modello di scuola che si avvicina sempre di più a un azienda privata sia veramente quello di cui avevamo bisogno. Nell’ottica di una tutela sempre più decrescente verso chi ha il compito e il dovere di educare i ragazzi a cui verrà affidato un domani il futuro del nostro Paese. Sempre che rimanga qualcosa da affidargli.

Valentina Bombardieri

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