La chanson de geste di Sandro Pertini

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-di MARCO ZEPPIERI-

In viaggio verso Telese, anzi verso Telese Terme come fu deciso nel 1992 dopo un referendum, dove Giorgio Benvenuto sarebbe intervenuto alla festa regionale del Partito democratico per ricordare Sandro Pertini. A proposito domenica 25 settembre ricorreranno i 120 anni dalla nascita in quel di Stella.

Avvicinandomi appunto a queste terre campane, zone ad alto rischio sismico, pensavo giustappunto che Telese, l’antica Telesia romana, fu letteralmente rasa al suolo alla metà del trecento per venir poi ricostruita, anzi costruita, parecchio tempo dopo; zona sismica quindi che fu colpita ampiamente anche dal terribile sisma irpino del 1980. Un avvenimento che è rimasto nella memoria non solo per il pesante numero di vittime ma anche per l’intervento dell’allora presidente Pertini.
Ripercorro con la memoria alcune pagine del libro “Il divorzio di San Valentino” dove Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie parlando di Pertini scrivono: “Sapeva esprimere le emozioni di un popolo. Anche l’indignazione come in occasione del terremoto dell’Irpinia. Arrivò nelle zone colpite dal sisma meno di ventiquattro ore dopo le terrificanti scosse, mentre lo “sciame” teneva in allarme i sopravvissuti. I cronisti lo videro scosso e inquieto. A Laviano, un uomo tutto impolverato, gli si fece incontro: «Presidente, io vengo da Wiesbaden per cercare mia madre. Sono arrivato prima dei soccorsi». Rimase lì sino a mercoledì 26 novembre. Poi, senza mettere nessuno al corrente delle sue intenzioni, chiamò la Rai e fece organizzare una diretta televisiva dal Quirinale. Giovedì sera entrò in tutte le case italiane e pronunciò parole durissime, le stesse che avrebbe pronunciato un cittadino qualsiasi di fronte allo scempio di un pezzo d’Italia abbandonato al suo crudele destino. Disse, a proposito dei soccorsi: «Vi sono state mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito come è stato colpito il prefetto di Avellino che è stato giustamente rimosso dalla sua carica». E subodorando la possibilità di inquinamenti affaristici e malavitosi nella ricostruzione (si sarebbe rivelato un facile profeta), aggiunse: «Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice… Mi chiedo dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui». E concluse: «Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare i vivi».

Ero sicuro che Giorgio Benvenuto avrebbe incentrato gran parte del suo intervento proprio nel ricordo di quei tragici fatti, ed infatti così è accaduto.
Brevi tratti in punta di matita sul Pertini antifascista, il Pertini politico, il Pertini presidente di tutti gli italiani; il ricordo termina qui, pensavo.
Invece il finale dell’intervento è a sorpresa.

Pertini come personaggio eroico delle Chansons de gesta, così lo vede Benvenuto. Un palatino di Carlo Magno o un cavaliere della Tavola Rotonda o per andare ancor più lontano ad un personaggio di Ovidio o meglio ancora un fantastico eroe dell’Orlando Furioso. Così lo vede Benvenuto, un eroe che combatte per un ideale, un uomo che “Può essere sconfitto, ma mai vinto”.
Un ritratto perfetto, un unico dubbio mi viene in mente nel ritorno a casa; non vorrei che la sua vita, il suo pensiero fossero per noi contemporanei come l’olifante d’oro che Orlando suonò a Roncisvalle prima di essere annientato dai mori: non vorrei appunto che entrambi arrivino oramai troppo tardi.

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