Programmazione fallita o interrotta? Un libro, il dibattito

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-di ANTONIO MAGLIE-

La domanda nasce dall’introspezione storica ma ha anche un valore attuale (o attualizzabile): la programmazione che caratterizzò la fase d’avvio del centro-sinistra, a cavallo tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta è stata “boicottata”? È stata interrotta? O è miseramente fallita? Parlarne oggi, in una fase in cui si cercano terapie per irrobustire una crescita che ha sempre più la fisionomia della stagnazione, non è fuori luogo e non è inutile. L’occasione per riproporre il quesito più che mai amletico è stata fornita dalla presentazione di un “quaderno” che compone una lunga e molto articolata ricerca della Fondazione Giacomo Brodolini. Curato dall’economista Enzo Russo, il titolo del testo è significativo: “Programmazione, cultura economica e metodo di governo”. Una raccolta di saggi preceduta da una introduzione del curatore e chiusa da una raccolta di interventi al senato sull’argomento di Ugo La Malfa (l’autore all’epoca della Nota Aggiuntiva) e di Antonio Giolitti, protagonista assoluto di quella fase storica. 

Il Quaderno va ovviamente inserito nel quadro ampio della ricerca intitolata “le culture del socialismo: 1957-19676”. L’animatore e coordinatore del progetto di ricerca, il presidente onorario della Fondazione Brodolini, Enzo Bartocci, ha sottolineato come a questo lavoro si siano dedicati storici, sociologi, economisti, esperti di diritto del lavoro, sindacalisti e giornalisti. Un gruppo nutritissimo di persone che hanno studiato, vissuto o narrato quelle vicende e che hanno prodotto, al momento, il volume presentato ieri nella sede della Uil e il primo di carattere quasi introduttivo curato da David Bidussa e Andrea Panaccione e intitolato: “Le culture politiche ed economiche del socialismo italiano dagli anni ’30 agli anni ’60”. Prossimamente usciranno altri due quaderni; uno dedicato a “i socialisti e il sindacato” curato da Enzo Bartocci e Claudio Torneo, e l’altro a “Il riformismo socialista ai tempi del centro-sinistra, anche questo curato da Bartocci. E proprio in avvio di dibattito, il presidente onorario della Brodolini ha sottolineato che il periodo è stato preso in esame perché estremamente significativo essendo caratterizzato, per quanto riguarda il partito socialista, da una profonda evoluzione della sua azione politica dal “frontismo alla definizione di un progetto riformistico” in base al quale il Psi si proponeva di governare il Paese.

La tesi lungo la quale si sviluppa il testo curato da Enzo Russo parte, come l’economista ha sottolineato, dalla premessa che le valutazioni negative (il fallimento della programmazione) sono in realtà piuttosto liquidatorie e superficiali: non tutto fu fatto ma diverse cose vennero realizzate. E Giorgio Benvenuto, presidente delle Fondazioni Nenni e Buozzi che insieme alla Uil organizzavano l’incontro-dibattito, citando Gaetano Arfè, ha sottolineato come quel periodo sia stato l’unico al momento nella storia Repubblicana in cui le riforme non furono solo pensate ma anche realizzate, a cominciare dall’ultima, quella sulla scuola, che consentì una fruizione del sapere di massa e non più di casta come era avvenuto sino ad allora. 

Da protagonista diretto e da testimone indiretto, Giorgio La Malfa ha spiegato tanto per cominciare da quali premesse partiva la famosa Nota Aggiuntiva elaborata dal padre. Con la fine degli anni Cinquanta si stava chiudendo un ciclo storico-economico, il ciclo che aveva portato, attraverso lo sviluppo spontaneo, al Miracolo. Ma già nel 1961 si avvertivano i primi scricchiolii. A quel punto La Malfa si poneva un quesito: possiamo immaginare di risolvere i problemi economici e sociali solo attraverso lo sviluppo spontaneo o bisogna affidarsi a strumenti più sofisticati come la programmazione? Di qui il tentativo di aprire un discorso nuovo che, però, abortì con la conseguenza, sottolinea La Malfa, che da trenta, trentacinque anni il paese non ha il piacere di essere governato da una politica economica efficace. E con una divagazione sull’attualità, l’ex ministro ha sottolineato i dati sulla crescita che rendono insoddisfatto anche il presidente del consiglio, Matteo Renzi, chiosando che “se il capo del governo è insoddisfatto ha una sola scelta davanti a sé: andare via”. 

La Malfa pur riconoscendo che la tesi del “non fallimento” illustrata da Russo e dagli autori del volume da lui curato è fondata perché nessuno può negare che furono realizzate delle riforme, ha sottolineato al contempo come la programmazione fu costretta a fare i conti con nemici “terribili”: la reazione che il centro-sinistra provocò negli Stati Uniti, il “tintinnar di sciabole” in Italia, le resistenze del mondo imprenditoriale. Ma non solo. La politica dei redditi puntava a dare un ruolo al sindacato nel governo economico del Paese ma questa idea confliggeva con le scelte della principale delle tre confederazioni, la Cgil, a egemonia comunista, con un Pci attestato su una posizione di aperta opposizione al centro-sinistra. La conclusione è autocritica. Alla programmazione erano sensibili le forze laiche e socialiste: “Avremmo dovuto trovare un modus vivendi tra Pri, Psi e Psdi che andasse oltre le antipatie, che ci consentisse di superare i contrasti personali dandoci modo di identificare meglio i nostri nemici che erano tanto a destra, quanto a sinistra”.

Protagonista di quel periodo è stato anche il professor Antonio Pedone che ha spiegato i motivi che tramavano a favore del fallimento della programmazione, motivi soprattutto di ordine economico. Dopo aver sottolineato che la programmazione nasce nel momento in cui gli economisti si scoprono “ingegneri sociali” capaci di correggere gli squilibri inevitabilmente legati allo sviluppo, ha sottolineato come in realtà questa idea di guidare le dinamiche si alimenti nell’Unione Sovietica producendo anche risultati positivi nelle prime fasi. La tesi dell’economista è chiara: nelle società in via iniziale di sviluppo, la programmazione può produrre effetti positivi governando la dinamica dei consumi e indirizzandoli, proprio per correggere gli squilibri, verso quelli collettivi. Il problema nasce nel momento in cui la crescita raggiunge dimensioni consistenti e si viene così a creare un surplus discrezionale di domanda. A quel punto diventa impossibile privilegiare i consumi collettivi a svantaggio di quelli individuali. A sostegno della sua tesi, Pedone ricorda una polemica che lo contrappose a Federico Caffè che, insieme a Ugo La Malfa, all’epoca in cui si parlava di introduzione in Italia della televisione a colori, sosteneva che bisognasse utilizzare quei quattrini per la scuola e non per aprire il mercato a una forma più aggiornata del popolare elettrodomestico.

Antonio Foccillo, segretario confederale della Uil, che insieme a Enzo Russo ha scritto il saggio “la politica dei redditi nel rapporto tra sindacato e programmazione”, ha invitato a utilizzare questa ricerca per costruire una cultura politica evitando che i vari quaderni si trasformino in pura testimonianza di un passato quasi dimenticato: “Devono, al contrario, contribuire a creare una nuova classe dirigente. Sono rimasto colpito da uno studio in cui si sottolinea che gli studenti di liceo un tempo utilizzavano sedicimila parole e adesso soltanto ottocento. Questo vuol dire che manca la capacità di elaborare un discorso, che si confezionano soltanto slogan”. Insomma, questi libri devono servire a migliorare la dinamica della democrazia. Da sindacalista ha ricordato come su questa materia si sia consumato lo scontro tra massimalisti e riformisti: “Tutte le volte che il sindacato si avvicinava alla partecipazione, c’era sempre qualcuno che diceva che in quella maniera ci snaturavamo. Ma l’obiettivo della programmazione che poi è stata sostituita dalla concertazione, non era quello di fare le riforme a favore di qualcuno o contro qualche altro, ma di farle nell’interesse di tutti”. E, ha sottolineato Foccillo, furono fatte, a cominciare dallo Statuto dei Lavoratori che istituzionalizzò il ruolo del sindacato in fabbrica dando così ai lavoratori uno strumento di difesa. “Eppure”, ha concluso amaramente, “l’autore di quella grande riforma, Giacomo Brodolini oggi è una figura quasi dimenticata e pochi ricordano quell’uomo malato che a fine anno si recava in una fabbrica occupata per dire che lui, il ministro del lavoro, era da una sola parte, dalla parte dei lavoratori”. Giorgio Benvenuto ha chiuso con una constatazione riprendendo il discorso di La Malfa sulle antipatie personali che tarparono le ali al centro-sinistra: “La storia non si fa con i se e con i ma e nessuno può dire come sarebbero andate le cose se i contrasti fossero stati superati. Purtroppo, però, sappiamo come sono effettivamente andate”.

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