Industriali tra previsioni e avvertimenti (a Renzi)

boccia

-di SANDRO ROAZZI-

Confindustria dice Sì al referendum e dice No all’ottimismo del Governo sulla ripresa economica. Con perfino un accenno di polemica fra l’Esecutivo e gli industriali privati di cui si era persa traccia. Polemica ovviamente negata… da entrambe le parti. La materia del contendere è la crescita che non c’è. Dire che il Centro studi di viale dell’Astronomia sia pessimista non è esatto. Il termine più appropriato è… impietoso.

Cominciamo con il Pil del 2016 e soprattutto del 2017: quest’anno ci dovremmo fermare allo 0,7% (ma Renzi ribatte che siamo attorno all’1%, disperata difesa?), mentre l’anno prossimo potrebbe andare pure peggio con un +0,5% che influenzerebbe anche la tenuta dei conti con eventuale… dolorosa manovra aggiuntiva in arrivo per tamponare gli effetti di quella che sarebbe una vera e propria stagnazione.

Ma Confindustria si spinge più in là e non teme di vestire i panni di Cassandra nel sostenere che di questo passo solo nel 2028 (anno sideralmente lontano dal punto di vista politico) si raggiungeranno nuovamente i livelli pre-crisi. Quelli, tanto per intenderci che vedevano l’Italia essere (quasi) il fanalino di coda delle economie più sviluppate.

Del resto per gli industriali privati gli ultimi 15 anni sono passati praticamente invano: la Francia è cresciuta del 18,5%, la grande Germania del 18,2%, la Spagna perfino di più con un +23,5% mentre l’Italia retrocede dello 0,5%. Teniamo conto che in questi dati non ci sono solo le performance economiche dei singoli Paesi ma anche il fieno messo in cascina per fronteggiare la potente evoluzione dettata della rivoluzione tecnologica e dalle conseguenze dei comportamenti dei mercati.

In parole povere: gli altri guardano al futuro sia pure con difficoltà, noi invece restiamo al palo. Di fronte a questo scenario il ministro Padoan sostiene laconicamente che le loro stime sull’anno e sul 2017 sono migliori e che comunque ritiene lo studio di Confindustria un incoraggiamento a fare di più. Forse avrebbe dovuto dire… molto di più e di altro. Ma tutto sommato la sua imperturbabilità può essere utile in una fase che si preannuncia confusa. In realtà la posizione di Confindustria appare più chiara se si decritta l’altolà del Presidente Boccia (lui forse parlerebbe di… suggerimento) sulla nuova manovra: sarebbe un errore, afferma il leader degli industriali, puntare sulla domanda e non sulla offerta. In altre parole: attenti a concedere troppo a sindacati e consumi, poco alle imprese.

Un ammonimento che non si presta a interpretazioni di comodo. E che può mettere in difficoltà l’azione del Governo cui Confindustria riconosce comunque il merito di aver fatto calare la disoccupazione e di aver positivamente introdotto il Jobs Act, accanto – si capisce – agli sgravi contributivi. Insomma parafrasando abusivamente si potrebbe chiosare così l’uscita confindustriale: ma ora, con la fine degli sgravi, a noi che ci viene? Già ma finora quanto hanno dato i privati, ad esempio in termini di investimenti? Quanto in termini di contratti rinnovati con quello dei metalmeccanici appeso da mesi? Quanto in termini di proposte per compiere un salto di qualità?

Su tutto ciò è silenzio. Vero è che il sistema produttivo ha cercato di reggere in ogni modo nella recessione, ma non va dimenticato che nell’ultimo periodo almeno è ripresa, sostenuta in più modi, una accumulazione di profitti di cui non si vede gran traccia nel procedere dell’economia.
In ogni caso la situazione non è per nulla rosea: Bankitalia comunica che il debito pubblico è salito ancora a luglio toccando quota 2252,2 miliardi di euro (+3,4 miliardi su giugno).

Gran parte di questo aumento si deve alle Amministrazioni centrali. E salgono pure le entrate, ma con qualche affanno (+4,9% in sette mesi, rispetto allo stesso periodo del 2015), mentre il Governo rinvia la riforma IRPEF ai prossimi anni. Sentiero stretto, non c’è che dire, ancora più angusto se avessero valore (ma non è detto) le parole di Junker quando sostiene che il Patto di stabilità non può diventare un Patto di flessibilità. La tela di Penelope lavora a tutta, a quanto pare, nodi compresi.

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