1 settembre: comincia la guerra; il racconto di Nenni

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Il 1° settembre del 1939 le truppe naziste invadono la Polonia: è l’inizio della seconda guerra mondiale, di una “mattanza” alla fine della quale si conteranno oltre 50 milioni di vittime; il tributo italiano sarà alto (445 mila morti) ma molto più alto sarà quello russo (venti milioni), quello polacco (sei milioni, tre milioni e mezzo di ebrei), quello tedesco (cinque milioni). L’invasione nazista precederà di qualche settimana quella sovietica (l’offensiva comincerà il 17 settembre). E’ la conseguenza del patto firmato da Vjaceslav Moltov e da Joachim von Ribbentrop. In sostanza, un accordo di spartizione che consentirà a Stalin di piegare senza sparare un colpo le piccole e deboli repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia ed Estonia) per poi dirottare le sue attenzioni sulla Finlandia che si opporrà strenuamente e alla fine impedirà l’occupazione dell’intero paese cedendo la Carelia, cioè il dieci per cento del suo territorio. Tutto ruota intorno a quel Patto, una scelta che spiazza tutti gli antifascisti anche perché, poco prima, erano stati avviati negoziati per giungere a un accordo tra Francia, Inghilterra e Urss in funzione anti-tedesca. Ma Stalin cambia improvvisamente cavallo: si accorda con Hitler e di fatto fa cominciare la Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo voluto ripercorre quei giorni riproponendo un articolo di Pietro Nenni apparso sul “Nuovo Avanti” del 31 agosto. Il titolo è quello originale. Si tratta di una cronaca lucidissima che annuncia quel che avverrà esattamente ventiquattro ore dopo: l’invasione della Polonia, l’inizio della guerra.

Il voltafaccia della politica sovietica

-di PIETRO NENNI-*

Lenin ha spesso raccontato che quando, nell’agosto 1914, gli capitò fra le mani un numero del “Worwaets” con la dichiarazione che i socialdemocratici tedeschi avevano votato i crediti militari e s’erano schierati a lato dell’impero nella guerra, il suo primo sentimento fu di incredulità e di di diffidenza. Pensò che si trattasse di un falso della propaganda tedesca.

Lo stesso sentimento lo abbiamo provato quando la mattina del 22 agosto abbiamo letto sui giornali l’informazione famosa: “Il Deutches Nachrichten Buro comunica: il governo del Reich e il governo sovietico si sono accordati ert concludere un patto di non aggressione. Il ministro degli steri del Reich von Ribbentrop partirà mercoledì alla volta di Mosca per condurre a termine le trattative”.

Noi ci siamo detti (come se lo sono detto i compagni comunisti): questa è una balla che fa parte del repertorio della guerra dei nervi. Breve illusione di poche ore o di pochi minuti troncata dal comunicato dell’agenzia ufficiale sovietica “Tass” che confermava l’informazione del “DNB”.

C’era stata, nei giorni scorsi, la firma fra l’URSS e la Germania di un trattato commerciale del quale il meno che si potesse dire, è che era inopportuno. A termini della convenzione, la Germania concede all’URSS un credito che ammonta a 200 milioni di Reichsmark per l’acquisto in Germania di diverse merci e principalmente di macchine utensili. Durante lo sesso periodo l’URSS consegnerà alla Germania merci diverse per una somma di 180 milioni di Reichsmark. Nelle “merci diverse” figura in prima linea il petrolio di cui Hitler ha bisogno per fare la guerra.

In piena crisi europea, tale convenzione economica era, ripetiamolo, per lo meno inopportuna. La dichiarazione della “Pravda” secondo cui “la convenzione poteva rilevarsi come un fatto importante nel campo del miglioramento successivo non soltanto dei rapporti economici, m anche delle relazioni politiche fra l’URSS e la Germania” sarebbe stata più che inopportuna se, purtroppo, non fosse servita di preludio a cose più gravi, a cominciare dal viaggio a Mosca di von Ribbentrop.

A quel momento – al momento del viaggio – il mattino del 23, lo stupore lasciava posto allo smarrimento, per quanto fosse ancora possibile sperare che il ministro hitleriano se ne sarebbe ritornato con le pive nel sacco.
Invece sono bastate tre ore di conversazione al Kremlino con Molotov perché il patto di non aggressione fosse firmato. Si credeva allora, si voleva credere, che esso contenesse una clausola di salvaguardia, per cui l’aggressione contro un terzo fosse considerata come una causa di nullità del patto. Niente, la clausola non c’è. Anzi, l’articolo quarto metteva una pietra tombale sulla possibile adesione dell’URSS al fronte della pace di cui le trattative si trascinavano da settimane e mesi, stipulando che “nessuna delle due parti contraenti parteciperà a un raggruppamento di potenze mediatamente o immediatamente contro l’altra”…

A questo momento non era più possibile farsi illusioni: l’Unione Sovietica cambiava fronte. Le forze popolari e democratiche erano abbandonate a se stesse nel settore considerato più sicuro. Con una specie di feroce raffinamento Stalin s’era preso il gusto di organizzare il 19 agosto (in onore delle missioni militari francese e inglese) una giornata dell’aria per documentare la potenza dell’aviazione sovietica. Milioni di operai di tutto il mondo avevano vibrato di entusiasmo all’annuncio di questo spettacolo in cui vedevano un monito a Hitler. E il monito c’era ma per decidere Hitler a mandare il suo ministro degli esteri a Mosca, al fine di concludere pubblicamente i negoziati iniziati dal diabolico von Papen.

Discutendo le conseguenza del patto di Mosca noi lasceremo da parte gli argomenti sentimentali e moralistici. Non si può tacere che trattando contemporaneamente con Parigi e Londra e con Berlino, la diplomazia staliniana ha gettato turbamento immenso nell’animo dei lavoratori. Tanto cinismo poteva, sotto un certo aspetto, giustificarsi finché la tesi del Komintern era quella della equivalenza fra socialdemocrazia, democrazia borghese e fascismo, ma diveniva un cosciente tradimento dei lavoratori dopo la “svolta” del 1934-35, dopo cinque anni di propaganda durante i quali la Terza Internazionale, correggendo i suoi passati errori, ha propugnato con forza e fiuno a poco tempo fa con coerenza e conseguenza, che la difesa della democrazia coincide con gli interessi della classe lavoratrice e ha spinto i lavoratori – spinge i lavoratori! – ad accettare il rischio della guerra pur di abbattere il fascismo.

E non si può tacere un’altra osservazione: mai come nella crisi presente è risultato evidente che i comunisti della Terza Internazionale sono per Mosca dei “cobayes” per esperienze in “corpore vili”. Il Partito comunista francese è stato letteralmente accoppato nel mezzo di una azione che conduceva con molto vigore, in pieno accordo con Mosca. Le sue reazioni di fronte agli avvenimenti hanno dimostrato che ignorava completamente ciò che si preparava a Mosca. Nella sua accettazione del fatto può esserci anche una certa cupa voluttà di sacrificio. Ma il fatto compiuto lo ha evidentemente disorientato, che è poi quel che di peggio può capitare a un partito. “L’Humanité” del 22 agosto è il solo giornale di Parigi che non abbia pubblicato il telegramma del DNB. L’indomani 23 agosto “L’Humanité” si sforzava di presentare il patto firmato da Mosca come un contributo alla pace (vedremo che è il contrario) e iniziava la campagna: “Sans plus tarder Paris et Londres doivent maintenant signer le pacte franco-anglo-soviétique”, nella quale campagna doveva insistere per due giorni fino alla soppressione (sulla quale, stranieri come siamo, non abbiamo diritto di dire il nostro aperto pensiero) che la dispensava dal prendere atto dell’ultimo colpo inferto da Mosca alla sua tesi con il congedo dato alle missioni militari francese e inglese”.

Ecco in proposito le informazioni fornite da Blum. “È Voroscilov che ha chiuso il dibattito. È lui che ha comunicato alle missioni inglese e francese che la firma del patto germanico-sovietico rendeva inutile la loro presenza a Mosca. E ciò sono in grado di assicurarlo, mentre che, fin da giovedì mattina (24 agosto), prendendo in parola i comunisti, l’Inghilterra e la Francia avevano sollecitato i Soviet a firmare, senza altri rinvii, il patto tripartito o almeno una convenzione analoga al patto germano-russo, dal momento che le ultime difficoltà sollevate dai soviet erano state regolate”.
Superfluo insistere.

Dove poi il disprezzo di Stalin per i partiti comunisti e per il proletariato che li segue prende tutto il suo risalto è nel modo con cui procede. L’URSS ha rovesciato la sua politica nei confronti di Hitler, e Stalin non s’è sentito in obbligo di dire una parole alla classe operaia internazionale, che è stata così completamente abbandonata a se stessa, in balia della rivolta o del dubbio che la assalivano.

È inaudito.

E vediamo ora le ragioni, diciamo meglio le giustificazioni avanzate dai comunisti, prendendo come falsariga la dichiarazione del Partito comunista d’Italia. E qui un’osservazione pregiudiziale.
Non è nel momento in cui Mosca diserta dal fronte della resistenza al fascismo che i comunisti italiani hanno il diritto di levarsi come accusatori dei capi socialdemocratici “iniziatori della politica di non intervento in Spagna” o contro i laburisti i quali avrebbero “le mani sporche di sangue del popolo spagnolo”. Quest’ultima accusa è falsa. I laburisti inglesi, capi e militanti, hanno condotto una lotta accanita contro Chamberlain. La prima accusa ha un senso se formulata da noi, non ne ha più quando la formulano i comunisti proprio nel momento in cui la Russia sovietica si rifugia nel.. non-intervento.

I cosiddetti pacifisti hanno trasalito di entusiasmo per pateracchio di Monaco ma non hanno il diritto di elevarsi contro il pateracchio di Stalin. Ma, a loro volta, coloro che approvano il patto di Mosca non hanno il diritto di accusare gli autori di Monaco e del non-intervento.
Noi siamo coerenti con noi stessi e con le nostre idee. Abbiamo difeso ed esaltato l’Unione Sovietica che aiutava la Spagna. Ripudiamo e stigmatizziamo l’Unione Sovietica che diserta il fronte della resistenza al fascismo.

È forse vero che questa diserzione è un contributo alla pace? Dice la dichiarazione del Partito comunista d’Italia che “l’atto compiuto oggi dall’URSS accettando di discutere di un patto di non aggressione con la Germania è un potente aiuto che viene dato ai popoli che vogliono la guerra”.

Non è vero, e gli avvenimenti successivi lo hanno provato. La conclusione del patto di Mosca ha reso Hitler più frenetico e intransigente, lo ha liberato dalla preoccupazione di vedere l’aviazione russa piombare sulle sue linee di comunicazione, sui suoi depositi, sulle sue officine di guerra, disorganizzare la mobilitazione, spezzare i reni all’offensiva. La guerra d’aggressione fascista contro la Polonia era una ipotesi molto concreta prima del patto di Mosca; è diventata, dopo, una quasi certezza.

“Quest’atto – aggiungeva la dichiarazione del Partito comunista – è un colpo gravissimo dato all’asse Berlino-Roma e al “patto d’acciaio” di cui il partecipe principale è costretto oggi a inchinarsi davanti al potere della classe operaia che pone un freno ai suoi piani di aggressione”. Neppure ciò è vero. In un caso solo il patto di Mosca poteva contenere un elemento di successo per la pace: se esso avesse legate le mani al Reich nella sua politica di aggressione contro la Polonia. Invece esso ha liberato il Reich dalla minaccia sovietica e non ha quindi frenato, ma accelerato i piani aggressivi di Hitler. In quanto al “patto d’acciaio” sembra, per ora, intatto e le sue incrinature vengono dalle esitazioni di Mussolini per ragioni che non hanno niente a che fare col viaggio di von Ribbentrop.

“In secondo luogo – si legge ancora nel documento dei comunisti – questo atto colpisce direttamente gli elementi reazionari che dirigono la politica dei paesi cosiddetti democratici”. Altra affermazione non vera e smentita dai fatto.
Il patto di Mosca, lungi dal colpire gli elementi reazionari che dirigono la politica dei paesi “cosiddetti democratici” (attenti al trotzkismo!) ne ha rafforzato l’influenza sul piano interno e su quello internazionale, come ha favorito in seno alla classe operaia la politica della destra.
Si dice che tutto non è passivo nel bilancio del patto di Mosca. Naturalmente quando un terremoto distrugge una città, c’è lavoro per i muratori, gli architetti e gli ingegneri scampati al massacro. Non è però una ragione per augurarsi un terremoto.

Nel cataclisma politico provocato dal patto di Mosca, l’Asse non ha solo dei vantaggi, ma anche degli inconvenienti. Il primo inconveniente è che Hitler, il quale si è presentato suylla scena del mondo come il campione dell’antibolscevismo, si è poi dovuto rassegnare a battere alla porta di Mosca. Questo è, però, vero anche per Stalin. Le SS di Berlino, gli Junkers di Pomerania devono essere rimasti sbalorditi quando hanno letto che von Ribbentrop andava a Mosca a negoziare un patto di non aggressione, ma non meno sbalordito è l’operaio di Berlino o di Roma che ve e nella prima pagina dei giornali la fotografia di Stalin in atto di stringere la mano a von Ribbentrop e di sorridere beatamente o maliziosamente in così nobile compagnia.

Sul piano più strettamente politico la conclusione del patto di Mosca ha provocato una crisi ministeriale e un cambiamento di tattica in Giappone. Sapremo un giorno se il patto hitlero-bolscevico è la causa o la conseguenza del mutato atteggiamento del Giappone. Una quindicina di giorni or sono l’Asse aveva fatto uno sforzo enorme a Tokio per decidere. Il Giappone a firmare il “patto d’acciaio”. Il Giappone aveva resistito e infine rifiutato, non volendo legarsi le mani sullo scacchiere europeo.
Anche in Spagna c’era lotta nell’ “entourage” di Franco fra il clan hitleriano-mussoliniano e i fautori della neutralità. La conclusione del patto di Mosca ha rafforzato momentaneamente questo ultimi.

Quanto all’Italia fascista, essa sembra aver dato un’adesione senza riserva al patto di Mosca, ma i giornali fascisti, pur facendo bella mostra di entusiasmo delirante, hanno lasciato trapelare alcuni segni di disorientamento.
Ripetiamolo, però, ancora una volta: non c’è rapporto fra il passivo e l’attivo del patto. La colonna del passivo schiaccia quella dell’attivo.
La “Lige des Droits de l’Homme” ha detto giustamente nel dignitoso ordine del giorno in cui condanna il patto hitleriano che “l’ora non è venuta di ricercare tutte le responsabilità della situazione del patto Hitler-Stalin”. Queste responsabilità non sono tutte a Mosca, ma Mosca ha mancato al più sacro dei suoi doveri, alla solidarietà con il proletariato che lotta contro l’hitlerismo. Ha essa, almeno, provveduto alla sua difesa?

Il patto anti-Komintern è passato evidentemente in secondo piano, e questo è un successo momentaneo della diplomazia sovietica. Si può anzi considerare l’articolo quarto del patto di Mosca come una implicita sconfessione del patto anti-Komintern. Ma nessuno ignora in Russia, nessuno ignora tra i comunisti che il patto anti-Kominterm, nella misura in cui esprime le esigenze della difesa sociale della borghesia, è nelle cose anche quando non è nei patti scritti. Se ci dovesse essere un successo del fascismo in Europa il patto di Mosca andrebbe all’aria come uno straccio.

Gettando il marasma fra le masse proletarie e nei quadri stessi dei partiti comunisti, disorientando le forze della pace, rafforzando fosse anche solo per poche settimane o per pochi giorni il potenziale d’attacco di Hitler, la diplomazia sovietica ha quindi indebolita la difesa della Russia.
Ma la più grave responsabilità dell’URSS è di avere gettato il turbamento, lo sconforto, la divisione fra la classe lavoratrice. Questo è il delitto contro il quale la nostra coscienza insorge con maggiore veemenza.

Il Partito comunista d’Italia dichiara che la sua politica rimane quella di ieri: “impedire che il fascismo scateni la guerra” e se la guerra scoppiasse malgrado tutto “lottare perché da essa esca la disfatta militare e politica, il crollo del fascismo”. Il Partito comunista francese si dice risoluto ad “assicurare la difesa della pace e la salvaguardia del paese”. Ma come sfuggire, se non con un atto di sincerità, alla contraddizione flagrante fra questa politica e il patto di Mosca?

Da questo giornale, dove da cinque anni, contro ogni sorta di difficoltà abbiamo lottato per l’unità del proletariato, non esitando a denunciare gli errori degli stessi partiti socialisti e degli uomini per i quali avevamo una amicizia fraterna; da questo giornale che ha voluto con fede immensa preparare per la rinascita italiana di domani l’unità del proletariato senza la quale non ci sarà né la rivoluzione democratica, né la rivoluzione socialista; noi ci rivolgiamo ai compagni comunisti coi quali abbiamo lavorato assieme, ai proletari comunisti che niente divide dai proletari socialisti e diciamo loro: – La causa dell’unità sta nelle vostre mani. Dite le parole che la vostra coscienza on può non dettarvi. Quel che noi vi chiediamo è di riconoscere che il patto di Mosca non si inserisce nella linea politica che abbiamo assieme difeso e che assieme volevamo far trionfare. Quello che vi chiediamo è di ricreare l’armonia e la continuità del pensiero e dell’azione separandovi su un punto determinato da Mosca, come noi non abbiamo esitato a separarci dai, su dei punti determinati, dai partiti fratelli o dai governi socialisti. Un colpo immenso è stato portato alla politica di unità d’azione, di cui approfittano i nostri nemici. Ma qualcosa, ma molto può ancora essere salvato se voi lo volete.

Diranno i giorni prossimi se questo appello può essere inteso. Se no, tanto peggio per tutti, e tanto peggio per i comunisti. Noi non ci rassegneremo alla sconfitta, non muteremo la nostra politica, non rimesteremo il ferro nelle piaghe che sanguinano, e nella pace, se la pace è salvata, ataraverso il roveto ardente della guerra, se fra qualche ora la guerra s’abbatte si di noi, ognuna delle nostre parole, ognuno dei nostri atti sarà al servizio della causa del proletariato e del socialismo.

* Da “Il Nuovo Avanti” del 31 agosto del 1939

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Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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