Terremoto:fuga, paura e ricordo

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-di MARCO ZEPPIERI-

Pineto degli Abruzzi. 24 agosto 2016.

Ci sono momenti e situazione in cui è’ molto difficile, quasi impossibile dire  “cosa sta succedendo?”.
Tre e trentasei della scorsa notte, nel silenzio solo il dolce movimento della risacca del mare; poi un rumore forte e duro, il letto comincia a ballare, le finestre stridono sui propri cardini.
Sarà un brutto sogno, sarà un incubo; poi in un attimo capisci: il terremoto.

In un attimo capisci, realizzi e cerchi una via di fuga. Le gambe, un po’ per il sonno interrotto un po’ per lo spavento, tremano ma lo spirito di sopravvivenza ti prende e cerchi il più velocemente possibile di prendere i tuoi cari e fuggire.
Urla, paura, bambini, anziani, donne, uomini in pigiama che non sanno cosa fare, si muovono come automi con il terrore che si legge negli occhi.

È un battito di ciglia e siamo tutti fortunatamente fuori; un sorriso amaro ci solca il viso.
Insieme a noi nel cortile altre famiglie, altri bambini assonnati, altri anziani impauriti.
Siamo tutti lì uniti e terribilmente felici.
Il display dei telefonini cominciano ad illuminarsi, tutti cerchiamo di capire, di sapere, di informarci della gravità della situazione, di vedere dov’è l’epicentro del sisma.
Abruzzo, Marche, Umbria non si riesce a capire.
Poi le prime notizie. Provincia di Rieti magnitudine 6.0 poco profondo.

Cosa vuol dire? Vuol dire che siamo vivi. Tutti.
Possiamo raccontarlo, a chi?
Ai nostri incubi più reconditi. Al nostro io che non sa e non vuole darci risposte.
Siamo felici e questo conta.
Cominciamo a pensare ai danni, alle possibili vittime al dramma che sicuramente è avvenuto.
Poi ci chiudiamo in noi stessi e una preghiera al nostro Dio, religioso o laico che sia, sale dentro. I nostri occhi si illuminano e non è per i primi colori dell’alba che dal mare ci illuminano.
Un’ultima preghiera ci unisce: mai più l’Aquila!

fondazione nenni

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