-di ANTONIO MAGLIE-
Per quelli come me che erano giovani a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, Dario Fo è stato una sorta di icona. Ricordo i suoi spettacoli in alcuni teatri romani con tutti noi seduti come tanti piccoli indiani, a gambe incrociate, sul palcoscenico mentre lui, andando avanti e indietro e affabulando senza soluzione d continuità, picconava il potere clerico-fascista divertendoci e facendoci pensare. La forza metafisica di uno slogan (“una risata vi seppellirà”) con lui assumeva una robustezza materiale, usciva dall’impalpabilità per diventare intellettuale oggetto contundente. Ironia al servizio della contestazione.
Ora, va detto con grande sincerità, nella traduzione pittorica (un dipinto che verrà messo all’asta partendo da ottomila euro per finanziare la festa “grillina”; oggetto: Maria Elena Boschi), la sua arte trasuda pessimo gusto al servizio di chi si candida a sostituire l’attuale potere con un potere alternativo, non particolarmente diverso da quello antico (almeno per quello che si è visto in questi pochi mesi a Roma). Il quadro che si riallaccia all’ultima volgare vignetta su Maria Elena Boschi toglie alla sua ironia quel tocco di eleganza e originalità che affascinava noi giovani della fine degli anni Sessanta e degli inizi degli anni Settanta. Siamo allo sberleffo che si fa insulto, all’ironia che diventa battutaccia da caserma, all’immagine irriverente che si fa disegno volgare da bagni pubblici. A quel tempo, Dario Fo era contemporaneamente dissacrante e acuto; ora appare tronfio, “trombonesco”, carico più che di sentimenti di risentimenti politici con quel suo dipinto privo di contenuti e qualità, solo mediocremente sessista: ho qualche dubbio che una cosa del genere sarebbe stata condivisa da Franca Rame che di quel tipo di insulti e assalti fu oggetto in vita da parte degli avversari politici.
A chi, come chi scrive, lo ha amato, questo Dario Fo pittore appare un sottoprodotto scadente del raffinato autore teatrale (e letterario) che con il suo grammelot scuoteva le certezze di un sistema immobile e votato all’autoconservazione, più che uno “sbeffeggiatore” del potere nelle sue forme più inaccettabili e volgari oggi appare il predellino di una politica che si definisce nuova ma che usa nella sostanza sistemi già straordinariamente vecchi, a cominciare dall’insulto via web, che utilizza metodi non dissimili da quelli che decenni fa venivano usati proprio contro di lui. Insomma, uno zio canuto che avendo perduto gran parte della sua originalità, non ha più nulla da raccontare, se non il fantasma se stesso: sinceramente un po’ poco perché a un premio Nobel si può chiedere di più.