Servono più reddito e investimenti (privati e pubblici)

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-di SANDRO ROAZZI-

Tutto esaurito sotto l’ombrellone, crescita zero nel secondo trimestre. Due constatazioni agli antipodi, ma la protagonista è la stessa, la nostra Italia. Se poi vogliamo aggiungere un tocco di stagione… ci viene in soccorso una indagine Confartigianato secondo la quale per gelati e birre artigianali si spendono più di tre miliardi l’anno. Eppure le cose non vanno. Il Pil… rasoterra questa volta ha spaventato sul serio. E c’è già chi prevede che la legge di stabilita’ dovrà lesinare i soldi per le pensioni e cercare di raschiare il fondo del barile della flessibilità, anche a rischio di entrare in rotta di collisione con Bruxelles per concentrare le risorse su pochi obiettivi, tutti per la crescita. 

In realtà ci si comporta come se si dovesse fronteggiare una congiuntura sfavorevole senza prendere atto che la bassa crescita probabilmente è solo la facciata di una profonda mutazione di sistema. E viene da lontano. Un solo esempio: un rapporto Mc Kinsey segnalava che in 10 anni (2005-2014) più di mezzo miliardo di persone nel mondo avevano visto restare fermo o ridursi il proprio reddito. Una gelata planetaria. Ma in Italia e’ pure peggio: il 97% delle famiglie e’ nelle stesse condizioni. Con l’aggravante che per la prima volta intere generazioni di giovani rischiano di essere condannati a stare peggio dei loro genitori. Il benessere si e’ fermato come un orologio rotto. Certo le potenzialità sono ancora enormi, l’evoluzione tecnologica è prepotente ma i nostri sistemi di vita sembrano impotenti nell’indovinare la direzione giusta. Per l’Italia poi
le origini dei limiti sono ben anteriori alla grande crisi: crescevamo meno degli altri, ci indebitavamo più degli altri, tranne che in brevi periodi, perdevamo terreno sul campo della competitività e della produttività, affogavamo in una palude fatta di troppe tasse e troppa evasione fiscale. Facevamo a meno di mezza Italia, il Sud. 

Risalire oggi con le incertezze che ci assediano è davvero una fatica che ricorda quella di Sisifo, capace di spingere il masso quasi sin sulla vetta della montagna per poi vederlo rotolare nuovamente giù. Nell’immediato emergono due problemi in particolare: l’andamento deludente dell’industria e la debolezza della domanda interna come si rilevava ieri. Servirebbero investimenti pubblici e privati a tamburo battente assieme ad uno sforzo per aumentare il reddito disponibile delle famiglie. Invece gli investimenti privati… beato chi li vede, quelli pubblici per ora son promesse. E senza la conclusione positiva dei rinnovi contrattuali e una rivalutazione delle pensioni sia pur graduale la domanda interna difficilmente risponderà “presente”. Ma per il futuro occorrerà andare ben oltre se non vogliamo far del male ai giovani: riflettere sul serio sul sistema economico attuale, che non regge, e sui valori che dovranno essere il perno di una vera rinascita. 

In questo senso il ritardo economico è poca cosa rispetto a quello politico. Perché se il Pil a zero riempie l’attenzione di un giorno, poi si torna all’antico: polemiche, ossessioni, scandali, egoismi, difesa talvolta ottusa di posizioni di potere e tante furbizie dal fiato corto. Difficile che nasca un futuro se non si sarà capaci di guardare oltre gli interessi contingenti. E limitarsi a maledire il liberismo di ieri o il rigore a senso unico a questo punto non basta proprio più.

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