Ventimiglia, dal caos polemico alle serie analisi di Gabrielli

Gabrielli

-di ANTONIO MAGLIE-

In una democrazia i temi della sicurezza e di chi la gestisce (le forze dell’ordine) sono decisamente seri e impongono comportamenti altrettanto seri da parte di chi li affronta. Non è tollerabile la demagogia elettoralistica o il pressapochismo tuttologico di alcuni nostri politici. I poliziotti e i carabinieri rischiano la vita e devono essere messi nelle condizioni di fare il loro lavoro nelle migliori condizioni possibili, anche dal punto di vista della tutela della loro salute.

Sulla morte dell’agente a Ventimiglia domenica si sono scatenati i “professionisti del commento” via twitter, facebook o tradizionale agenzia stampa. Distorcendo la realtà dei fatti hanno tirato la giacchetta dei poliziotti dalla propria parte puntando il dito contro i “no border” per poter poi conseguentemente conseguentemente utilizzare a proprio vantaggio e a svantaggio dell’avversario il tema dei flussi migratori. 

Per fortuna sulla vicenda è intervenuto il capo della Polizia, Franco Gabrielli, cioè uno che i problemi di chi gestisce l’ordine pubblico e va in strada li conosce. È intervenuto dicendo poche ma chiare e semplici parole. 

Tanto per cominciare, che esiste un problema di età dei poliziotti che vengono impiegati in questi servizi (Diego Tura aveva cinquantatré anni, probabilmente troppi per lo stress che questi interventi comportano). E pur riconoscendo i tentativi del governo di invertire una tendenza dettata dai tagli al bilancio e dai blocchi del turn over decisi anche dagli esecutivi che hanno preceduto quello guidato da Renzi, ha sottolineato: “Quello dell’età media di carabinieri o poliziotti è un tema serio e non è questo il momento di affrontarlo. Un tema che presuppone un’inversione di tendenza rispetto alla mancanza di turn over come c’è stata in questi anni”.

In secondo luogo, ha provato a riportare al centro del dibattito le reali cause di quella morte, cause che evidentemente richiamano soprattutto diffuse responsabilità politiche e non tanto quelle dei “no border”. Ha detto: “Non abbiamo rabbia nei confronti di nessuno. Certamente addebitare ai No Border la morte del nostro collega credo sia poco serio”. Aggiungendo: “È ovvio che queste persone, molto spesso professionisti dell’agitazione hanno poco a che vedere con i drammi delle persone che loro dicono di rappresentare. Anzi, credo che siano più una complicazione alla vita di questi poveri disgraziati e noi gestiremo la situazione come è giusto che avvenga, secondo il codice penale”.

In fondo per compiere una simile analisi sarebbe stato sufficiente un po’ di buon senso. Ma purtroppo questo paese da ormai oltre vent’anni vive immerso in una continua campagna elettorale e tutto torna utile per portare acqua al proprio mulino spendendo un po’ di facili parole ma guardandosi poi bene dal trovare soluzioni. Con il risultato di attribuire a questioni molto serie connotati caricaturali.

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