Per le pensioni solo un miliardo e mezzo

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-di SANDRO ROAZZI-

L’estate è fatta apposta per le dispute sotto l’ombrellone di cui poi a settembre restano poche tracce. Diversa è la questione delle pensioni. I “messaggi” che le parti in causa, Governo e sindacati, si scambiano in questi giorni prima della tregua ferragostana, sono destinati invece a durare. Se infatti girano voci sul fatto che le risorse sul tavolo non potranno superare il miliardo e mezzo di euro (insufficiente per i sindacati che giudicano decisiva l’entità dei soldi) ecco che in una intervista il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio esprime la convinzione che su una serie di questioni si troveranno le soluzioni, a partire dall’Ape e dal sostegno ai pensionati più poveri. Rimedi possibili però se si supera quell’asticella del miliardo e mezzo.  Quel che appare certo è che a settembre Palazzo Chigi e Il Ministero dell’Economia saranno chiamati a dar prova di scelte univoche se vorranno dare un segnale chiaro a Cgil, Cisl e Uil.
Le priorità paiono scontate: l’anticipo pensionistico per i lavoratori anziani ai quali mancano al massimo tre anni e qualche mese per lasciare il lavoro, si farà. Il Governo pare intenzionato a coprire con detrazioni fiscali gli oneri (interessi, assicurazione e parte del capitale …o tutto?) a carico di alcuni settori di lavoratori come i disoccupati lasciando a quelli con redditi medio-alti l’alternativa di andare in pensione sostenendo tutti i costi o aspettare il gong della Fornero. Detta così più che l’avvio di una nuova stagione di flessibilità, sembra essere il completamento nel futuro prossimo dell’operazione tesa a sanare la condizione degli esodati anche nel medio periodo. Sembra sicura anche l’operazione che permetterebbe di ricongiungere  senza costi periodi contributivi diversi, in grado di favorire l’accesso alla pensione di lavoratori in odore di esubero. Così come  parrebbe davvero strano che non arrivassero risposte su lavori usuranti e precoci (con il via libera ai 41 anni). Più aperta la discussione sulle pensioni in essere che oscilla da tempo su due interventi: aumento della 14ma per le pensioni più basse e rialzo della no tax area. Palazzo Chigi sembrerebbe orientato a dare risposte ad entrambe le esigenze. A settembre si saprà come tutto questo si concilierà con le scelte che verranno fatte per sostenere la gracile ripresa: salari di produttività, cuneo fiscale,  superammortamenti. Si forzerà in direzione della flessibilità concessa da Bruxelles? O si ripiegherà su un lavoro…di cesello per concedere qualcosa a tutti? E cosa resterà fuori?
In questo contesto è inevitabile che volga al tramonto la stagione degli incentivi contributivi …appaiati al Jobs act di cui si “predice” un ulteriore ridimensionamento.  Non sono considerate misure strutturali ed in questo caso la valutazione è comprensibile visto che quelle agevolazioni avevano la funzione di rimettere in moto un motore inceppato dalla recessione. Resta l’interrogativo se si opterà per una strategia di lungo termine,  politica industriale compresa,  o se si procederà a vista con la conseguenza di ritornare a…premiare la precarietà. Ma due problemi per ora non emergono come dovrebbero. Il primo è collegato alla riforma del fisco, necessaria se non urgente anche per rimettere in gioco quei ceti medi impoveriti dalla crisi e che non avvertono attenzione nelle politiche economiche in atto. Il secondo è ancora più intricato e concerne le politiche per fronteggiare l’esponenziale invecchiamento della popolazione. L’Italia è fra i Paesi sviluppati più vecchi, si fanno pochi figli, si temono gli immigrati. Tutto questo non sta in piedi. Va governato.

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