-di SANDRO ROAZZI-
L’economia italiana assomiglia sempre più a un Giano Bifronte. Exor la finanziaria degli Agnelli emigra e diventa, sul piano legale e fiscale, olandese. Come Fca (la cui sede fiscale però è Londra) e come il resto delle società di famiglia che stanno per lasciare sul piano societario, vuoto… il Lingotto. Il suggello alla fine di un epoca. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia documentata da Unioncamere: nel trimestre aprile giugno il saldo fra aperture e chiusure di imprese è in attivo con un +38 mila unità, di cui 14500 sono al sud. Un risveglio delle attività economiche nelle regioni meridionali che è il frutto di una risalita nell’ultimo quinquennio più… tenace della terribile recessione: infatti dal 2008 ad oggi il saldo nazionale del sud è salito dal 29 al 38,1%, pur tenendo conto della contrazione generale della nostra economia.
Secondo lo studio Unioncamere ci sono alcune performance notevoli: si deve solo al sud se il settore del commercio è rimasto in equilibrio negli anni durissimi della crisi. In termini assoluti il miglior saldo lo detengono Lombardia, Lazio, e poi tre regioni del sud come Campania, Sicilia e Puglia tutte sopra quota 3000. In Umbria il saldo positivo risulta essere di 691 imprese.
Nell’ultimo trimestre sul piano nazionale sugli scudi il commercio con un saldo di +8924 imprese che lascia poco spazio alle lamentazioni di facciata che talvolta si sentono. Posti… sul podio per alberghi e ristorazione e, questa la sorpresa, per le imprese nelle costruzioni anche se si sa bene in quest’ultimo caso che spesso si tratta di piccole o, ancor più, piccolissime attività, per loro natura fragili.
Altra divaricazione evidente negli ultimi 5 anni è che le attività del terziario tengono o crescono come i servizi alle imprese, mentre hanno ceduto vistosamente l’agricoltura, le costruzioni e l’industria manifatturiera con una moria di 195 mila attività imprenditoriali. Ed il consuntivo occupazionale non lascia scampo a interpretazioni di comodo: -358 mila posti di lavoro perduti nelle costruzioni, -155 mila nell’industria manifatturiera (mentre i servizi alle imprese registrano un +188 mila lavoratori occupati). La crisi non è stata una parentesi indolore, e non solo essa. Hanno pesato anche le restrizioni nel credito, le trasformazioni tecnologiche, il calo del reddito disponibile, il lungo digiuno della domanda interna.
Eppure questa volta l’Italia ritrova qualche ragione di speranza proprio da quella realtà, il sud, che sembrava destinata a perdere ancora più terreno, ampliando la diseguaglianza che lo separa dal nord e dall’Europa. Un tale segnale è però’ solo un buon auspicio ma non è sufficiente per cambiare il destino del Sud. Occorrono investimenti, sostegni alle più autentiche vocazioni di quelle zone, una lotta intransigente alle mafie ed alle collusioni con politica ed affarismo in doppio petto. Non dimentichiamo poi che è tuttora in atto un silenzioso esodo di giovani verso il nord e l’estero. E tale constatazione richiama forse l’urgenza per eccellenza: rifiutare le sirene populiste e far emergere con coraggio nuovi gruppi dirigenti. La scelta in grado di generare aspettative diverse, in particolare nelle giovani generazioni. Per creare fiducia in grado di far emergere bravi imprenditori del futuro che potranno far dimenticare anche gli emigrati di… lusso all’olandese.