La lettura. Nenni, il centro-sinistra, i lavoratori

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C’è una frase in questo documento che riproponiamo che può fare da stella polare a chi voglia impegnarsi a restituire un’anima realmente popolare a una sinistra che, nelle sue varie forme, di governo o di opposizione, appare lontana anni luce da quelle che dovrebbero essere le categorie, le classi di riferimento: “Per un partito operaio è preferibile sbagliare con una conquista eccessiva che non con rinunce”. Pietro Nenni la consegnò a Giuseppe Tamburrano che la inserì in questo prezioso cammeo edito trentanove anni fa dalla casa Editrice Laterza. Titolo del libro: “Intervista sul socialismo italiano”. Poche pagine, rapide ma estremamente significative, ancora oggi. Rileggendole, d’altro canto, si incontrano riferimenti a malanni sempre presenti nella nostra società e che, semmai, con il tempo si sono cronicizzati. Ma soprattutto emerge una filosofia politica senza tempo, quindi, ancora pienamente valida. Certo, da aggiornare ma non da sconfessare. La frase che abbiamo riferito è la risposta di Nenni alle critiche allo Statuto dei lavoratori, conquista centrale e perciò altamente identitaria della stagione del centro-sinistra. Negli anni, in tanti si sono impegnati a stravolgere quella legge, riuscendovi. Ma la ragione principale di quella conquista consiste proprio in quello che Nenni sottolineava: non si chiedeva ai datori di lavoro (ai “padroni”) di rinunciare a quote di profitto, si chiedeva di rinunciare a quote di potere. Ed è stata proprio la rinuncia al potere (prima ancora che al profitto) che ha scatenato la controffensiva culminata in numerosi e certo non felicissimi rimaneggiamenti del provvedimento. Nenni si vantava di aver contribuito a far avanzare la legislazione sociale; adesso abbiamo presidenti del consiglio e ministri che non nascondono la loro soddisfazione per aver fatto fare a quella legislazione numerosi (ed esiziali) passi indietro. Rileggere questo stralcio aiuta a capire cosa fu il centro-sinistra in una fase storica come quella attuale in cui con una certa ripetitività si usano due parole: riforma e riformismo. Il centro-sinistra, per quanto imperfetto, fu una stagione di riforme e di riformismo. Lo hanno più tardi ammesso anche coloro che a quella formula tagliarono quotidianamente le unghie, i comunisti ad esempio (persino Enrico Berlinguer fece in un suo pubblico discorso un accenno autocritico). Nenni non era felice dei risultati raggiunti. Ma era anche consapevole che, nelle condizioni date, quella formula aveva fatto fare al Paese notevoli passi in avanti. E oggi, a distanza di tanto tempo, possiamo dire che dalle posizioni all’epoca raggiunte il Paese si è mosso pochissimo e quando lo ha fatto, ha solo finito per compiere qualche passo indietro. Dal riformismo incompleto siamo passati al riformismo solo declamato. Anzi, quel che è peggio, al controriformismo.

Pietro Nenni intervistato da Giuseppe Tamburrano*

Prima delle elezioni del 20 giugno (1976, n.d.r.) i socialisti hanno solennemente decretato la fine del centro-sinistra. Perché? E che cosa significa “fine del centro-sinistra?
“ Qui tocchiamo il giudizio di fondo sull’esperienza di centro-sinistra. Io colloco al suo attivo la dilatazione dello spirito di libertà, la crescente partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, in un certo senso la stessa contestazione giovanile che ha rotto il sonno a uomini e apparati burocratici.

Da sé la partecipazione popolare alla vita pubblica è un frutto di libertà e di democrazia.

Il centro-sinistra ha offerto il quadro politico di questa più vasta partecipazione popolare alla vita democratica di massa. E non è merito di poco conto, è il merito che Engels riconosceva alla repubblica in linea di principio, come suscettibile di offrire un valido terreno allo sviluppo della lotta di classe.

Si dice del sistema politico di destra e del regime autoritario che tutto funziona e nulla vive. Del sistema politico che ha preso il nome del centro-sinistra si può dire il contrario, e cioè che nulla funziona e tutto vive. Non funziona l’amministrazione, è in rovina l’economia, è sull’orlo del precipizio la lira, non funziona la scuola, non funzionano gli ospedali, non funzionano i trasporti. L’urbanistica è come sempre un campo aperto alla speculazione. La tangente è il superprezzo di ogni affare. Non ha limiti la pratica delle bustarelle, da quelle striminzite dei piccoli favori (una pratica amministrativa da accelerare, per esempio) a quelle mastodontiche dei petrolieri (nel 1974 in Italia esplose un clamoroso scandalo che portò aa marzo alle dimissioni del governo presieduto da Mariano Rumor, n.d.r.) a quelle della Lockheed (nel 1976 l’aziende statunitense ammise di aver pagato tangenti per far acquistare i propri aerei, n.d.r.). Ma tutto vive. Tutto cioè è in movimento, nessuno è fuori tiro. Tutto è oggetto di critica e di denuncia, il potere comporta sempre una caterva di abusi. Ma la libertà è un correttivo permanente degli arbitrii.

Il centro-sinistra, e la presenza in esso dei socialisti, si è risolto in una garanzia di maggiore libertà, anche quando c’è stata carenza di iniziativa sul terreno concreto della difesa delle libertà e della democrazia. Difatti mentre la Dc si trastullava col giuoco degli opposti estremismi sembrò uno scandalo che un ministro (e per di più un ex ministro degli interni) dicesse che i tentativi di eversione venivano e vengono da destra.

In linea generale si può dire che la Dc, in trenta anni di potere, ha largamente usato e abusato della strategia del rallentamento. Si può dire che nei confronti delle riforme, come negli eventi quotidiani della vita pubblica, la Dc ha tenuto sempre il piede sul freno e noi sull’acceleratore…

Malgrado ciò il volume delle cose fatte non è di scarso conto. Basti pensare all’istituzione delle regioni, un potere nuovo destinato a realizzare il decentramento dello stato, allo Statuto dei lavoratori, che è uno dei punti più avanzati della legislazione sociale in Europa, allo sviluppo quantitativo della scuola, al rapporto nuovo con i sindacati col potere pubblico e col governo.

La conclusione è che quando con la Dc si è potuto fare rimane del tutto insufficiente davanti a quanto bisognava fare e resta da fare”.
Scusa se ti interrompo. Vorrei fermarmi un momento sullo Statuto dei diritti dei lavoratori che a me sembra la più significativa conquista del centro-sinistra.
“Certo. Tu che mi hai aiutato a combattere quella lunga battaglia sai quante resistenze, tergiversazioni abbiamo dovuto superare. Alla vigilia di assumere responsabilità di governo, noi socialisti ci impegnammo a dare attuazione a una rivendicazione che da quindici anni era al centro delle nostre lotte. L’impegno entrò solennemente nel programma del primo governo organico di centro-sinistra: quanti impegni erano in quel programma, quanti hanno continuato a fare bella mostra nei programmi dei numerosi governi succedutisi dopo di allora! Lo Statuto invece è passato, un pezzo alla volta, ma è passato.

I sindacati se ne sono fatto un vanto. E non vi è dubbio che senza la pressione della classe lavoratrice e dei suoi organismi non si strappano alla classe dominante diritti che sono grosse rinunce non solo a quote di profitto ma a quote di potere: e questi sono i sacrifici più duri per il padronato. Ma non vi è dubio altresì che senza i socialisti al governo, le lotte del sindacato per lo Statuto non avrebbero dati risultati. Anche perché uno dei sindacati, la Cisl, era in via di principio ostile alla regolamentazione con legge della materia e la Uil era molto tiepida”.
Ne ho fatto un’esperienza personale. Nella commissione incaricata di redigere lo Statuto bisognava superare l’ostilità del padronato e poi quella della Cisl. Il rappresentante del ministero del lavoro, con l’aria di mediare, proponeva soluzioni arretrate oppure faceva pressioni per non farne niente. Quante volte tornando da quelle riunioni ti riferivo dell’enorme difficoltà di venire a capo delle resistenze. Oggi posso dirti un pensiero che mi attraversava spesso la mente. Leggendo il cartello che era posto bene in vista nella tua stanza di Palazzo Chigi: “Il titolo di eccellenza è vietato”, mi dicevo: il Psi non è riuscito nemmeno a imporre a dignitari e ciambellani, a uscieri e autisti di rispettare quel divieto. Che ci sta a fare qui? Avevo l’impressione che i socialisti erano entrati in un mostruoso labirinto – il “sistema” – e andando avanti diventavano prigionieri di una logica più forte di loro.
“Non lo hai formulato solo tu quel pensiero. Quante volte anch’io mi sono detto: andiamocene. Ma ho resistito al mio impulso, alle pressioni degli intransigenti paladini del tutto o niente, non solo perché avevo paura del vuoto che si sarebbe aperto nella società e nello stato se fosse fallita l’unica formula allora possibile, ma anche perché avevo fiducia che, con tenacia e pazienza, qualcosa di realmente importante si potesse fare. Soprattutto per i lavoratori. Guardiamo al bilancio, oggi. L’inizio del centro-sinistra coincide con una forte ripresa della combattività sindacale. Per lunghi anni i lavoratori erano rimasti quasi fermi: crescevano i profitti vertiginosamente, non si muovevano i salari. Non voglio dire che le lotte dei primi anni Sessanta sono state determinate unicamente dalla partecipazione dei socialisti alla maggioranza. So bene quanti fattori vi hanno concorso. Ma il fattore politico è decisivo, perché dà uno sbocco ai processi maturi, in senso progressista o conservatore. Chi può negare oggi che la nostra iniziativa politica abbia favorito uno sbocco progressista ai processi maturati nella società?

Noi ponemmo l’obiettivo dello Statuto come un insieme di riforme.: la giusta causa nei licenziamenti, il riconoscimento giuridico delle commissioni interne, i diritti dei lavoratori in fabbrica. Il riconoscimento giuridico delle commissioni interne fu lasciato cadere, erano istituti in estinzione: nelle fabbriche si venivano riorganizzando i sindacati e apparivano i primi segni della presa di coscienza autonoma della classe operaia che porterà alle grandi lotte del ’69 (il riferimento di Nenni è alle nuove rappresentanze di base, i consigli di fabbrica, n.d.r.). Non siamo riusciti a far passare il provvedimento relativo ai diritti dei lavoratori per le resistenze che anche tu hai conosciuto. Ma è passata la giusta causa nei licenziamenti. Ricordo la prima sentenza che dichiarava nullo un licenziamento avvenuto per ragioni politiche. Chi può negare che con quella legge i lavoratori sono diventati più liberi?

Con Brodolini, un socialista che ha lottato per lo Statuto fino all’ultimo soffio di vita, siamo riusciti a far passare il provvedimento sui diritti dei lavoratori nelle fabbriche. Le premesse di quel provvedimento le abbiamo poste fermamente negli anni precedenti; l’autunno delle grandi lotte operaie e l’unità sindacale sono stati le nuove spinte. Ma anche in questa occasione è stata la presenza socialista al governo che ha dato uno sbocco al processo di crescita civile e sindacale”.
Oggi lo Statuto dei lavoratori è sotto accusa per alcuni suoi istituti.
“Può darsi che ci siano delle norme da rivedere, ma per un partito operaio è preferibile sbagliare con una conquista eccessiva che non con rinunce. E noi possiamo dire di non aver rinunciato a quella parte essenziale dei nostri programmi che riguardava la condizione di libertà dei lavoratori.
Ciò nonostante il centro-sinistra apparve a un certo punto come una tela di cedimenti.
“Noi avevamo alla nostra sinistra una forte e agguerrita opposizione interessata a svalutare la nostra opera per rafforzare la sua candidatura alla partecipazione alla direzione della vita pubblica. L’opposizione comunista è stata frustrante, per noi, in tutti e due i sensi, ci ha pungolato, ma allo stesso tempo ha fatto penetrare nel partito una sorta di complesso del cedimento. Oggi i comunisti (il colloquio si svolse mentre la conduzione del Paese era nelle mani del terzo governo Andreotti detto della “non sfiducia”: un monocolore che poteva contare anche sull’astensione del Pci, n.d.r.) cominciano a misurare le difficoltà di gestire lo stato e l’economia con un partito come la Dc. Hanno il vantaggio di non avere una forte opposizione alla loro sinistra. Ma hanno lo svantaggio di operare in una situazione economica compromessa anche dalla loro tattica della surenchère, e di non avere un disegno generale a cui riferire saldamente la loro politica giorno per giorno”.


* Stralci dal capitolo 9 (“un bilancio del centro-sinistra”) del libro “Pietro Nenni, intervista sul socialismo italiano”, a cura di Giuseppe Tamburrano, Laterza, 1977

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