Il dibattito lunare di un Pd lontano dalla realtà

PD

-di ANTONIO MAGLIE-

“A sinistra c’è un tentativo per qualcosa di diverso che non mi sembra capace di creare un’alternativa”. Queste parole non sono state pronunciate da Angelino Alfano o da Matteo Salvini bensì da Matteo Renzi nel corso della Direzione del Pd. Fanno un certo effetto perché è evidente che nella mente del segretario il partito di esigua maggioranza ormai ha una collocazione che con la sinistra non ha più nulla a che fare. Insomma, la frase può essere letta come la certificazione che la forza politica a cui guardava un ampio pezzo della società che condivideva i valori di libertà, di eguaglianza e di solidarietà ormai occupa una posizione diversa o aspira a occupare una posizione diversa, sicuramente non ancorata in qualche misura a sinistra pur avendo esibito alle ultime Europee il simbolo del Pse.

Va detto francamente: a rileggere i resoconti della direzione si ha l’impressione di un dibattito lunare: nemmeno il deludente risultato delle ultime amministrative hanno convinto quel partito a cimentarsi con i problemi reali delle persone. E con le paure legate a quei problemi. Lo ha scritto in un altro articolo apparso in questo Blog, Edoardo Crisafulli: la sinistra non sa parlare al popolo e ha lasciato questa interlocuzione alla destra. Che la usa alla sua maniera: facendo leva sulle paure e proponendo soluzioni semplicistiche. Ma con quelle paure che sono il sintomo dei problemi e non una semplice condizione psicologica, i governi genericamente progressisti devono fare i conti altrimenti capita come a Roma dove il Pd ha vinto in due quartieri, non i più popolari, anzi, dal punto di vista del reddito e del tenore di vita, i più agiati. Fare i conti con quelle paure significa proporre delle soluzioni.

E le soluzioni non sono contenute in atti di fede come la riaffermazione in base alla quale il paese riparte con il “Jobs act, investimenti e diminuzione delle tasse”. Non è vero. La disoccupazione cala col contagocce; la discesa delle tasse (infinitesimale) è cosa buona e giusta ma va realizzata agendo sulla leva fiscale nel suo complesso per ridurre effettivamente le disuguaglianze, opera a cui questo governo (come tutti gli altri che lo hanno preceduto) non si è ancora dedicato; e gli investimenti non crescono con un tocco di bacchetta magica ma con una vera politica industriale che punti anche alla salvaguardia delle produzioni strategiche mentre non riusciamo a difendere nemmeno l’italianità di uno zuccherificio.

Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni. I progressisti non possono avere paura del cambiamento però devono anche essere capaci di valutare e selezionare, individuare e controllare gli aspetti del cambiamento che incidono negativamente sulla vita delle persone (soprattutto delle più indifese), valorizzando, al contrario, quelli che possono assecondare una crescita generale della qualità della vita delle persone. Perché è esattamente questa valutazione (e conseguente selezione) che consente di dare delle risposte serie alle paure, più complesse di quelle che può offrire la destra che taglia tutto con l’accetta, ma più credibili. Al contrario, la retorica “nuovista” impedisce di fare i conti e di parlare dei problemi della persone non solo per enumerarli ma anche per offrire ipotesi di soluzione.

Matteo Renzi il teorico della rottamazione, non prova nemmeno ad analizzare l’ignoto, lo abbraccia come atto di fede: “L’Italia del domani non deve proteggersi dal cambiamento, ma anticipare il cambiamento”. Sarebbe meglio governarlo il cambiamento e, semmai, prevedere i problemi e le crisi che quel cambiamento può produrre. E, in ogni caso, a volte non si sbaglia a proteggersi. Avremmo fatto bene o avremmo fatto male a proteggerci dalla finanza creativa, dai derivati? Avremmo fatto bene o avremmo fatto male a impedire la bolla immobiliare? Negli anni Novanta i cyberottimisti sostenevano che la terza rivoluzione industriale avrebbe restituito sotto altra forma esattamente lo stesso numero di posti di lavoro che distruggeva. I fatti hanno dimostrato che le cose non sono andate così: ne ha distrutti di più e ne ha restituiti meno.

E poi non si possono sempre esaltare vittorie che non esistono. Matteo Renzi ha definito l’accordo che ha attribuito per un solo anno all’Italia la poltrona nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu un “accordo di buon senso”. In realtà, una sconfitta. La Svezia la poltrona l’ha conquistata a vele spiegate, grazie al voto dei paesi del vecchio continente. Noi abbiamo dovuto dividerlo con l’Olanda perché l’Europa non ci ha votato, eppure nella Commissione presieduta da Jean Claude Junker la signora Federica Mogherini ricopre il ruolo di ministro degli esteri (Lady Pesc). Ma la cosa più preoccupante è l’incapacità del Pd, in tutte le sue componenti, a fare i conti con le ragioni reali degli ultimi insuccessi elettorali. Al Nazareno hanno chiuso le finestre, le hanno oscurate e chi è rimasto dentro ha parlato solo del partito, un partito ormai leggerissimo e debolissimo dal punto di vista del radicamento territoriale e valoriale, quindi privo di antenne sensibili. Renzi potrà anche mettere a punto una macchina organizzativa perfetta ma quella macchina organizzativa perfetta poi dovrà presentarsi nelle città, nei quartieri, davanti alle persone in carne ed ossa con delle proposte ai loro problemi, alle loro angosce, anche alle loro legittime paure. Ebbene al momento questo armamentario manca. E il futuro non lo si anticipa con la lettura della palla di vetro.

antoniomaglie

One thought on “Il dibattito lunare di un Pd lontano dalla realtà

  1. A Renzi non gli piace analizzare le situazioni sociali più disagiate e povere, perché guarda più ai problemi che interessano la Confindustria, che a quelli delle periferie e dei lavoratori senza rinnovi contrattuali.
    Per Renzi basta negare i problemi per pensare ad altro, così può fare la consueta narrazione falsa che tutto va bene, pur sapendo.che non è vero.

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