Strage di Dacca: l’Isis in crisi militare, rilancia il terrore

 

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-di ANGELO GENTILE-

Per molti giovani ormai attempati il Bangladesh era sino a sabato notte soprattutto il ricordo di uno straordinario evento musicale benefico che si svolse al Madison Square Garden il 1° agosto del 1971 promosso da George Harrison e dal suonatore di sitar Ravi Shankar (vi parteciparono anche Bob Dylan ed Eric Clapton); di un album triplo e di una canzone in particolare che ripeteva ossessivamente “Bangladesh, Bangladesh, dove tante persone muoiono velocemente”. E veloce è stata anche la strage dell’altra notte a Dacca.

Il ricordo di quel concerto benefico è stato cancellato e ad esso si è sovrapposto un lutto immenso che riguarda in particolare l’Italia visto che una decina delle venti vittime sono nostri connazionali in quel paese per lavoro. Un assalto, sette terroristi che irrompono in un ristorante del quartiere diplomatico (considerato il più sicuro della città ma non tanto sicuro da evitare questo bagno di sangue) avviando il loro lavoro di “macellai” al grido “Allah è grande”. E che hanno continuato distribuendo colpi di machete, torturando chi non conosceva i versetti del Corano, prendendo un nutrito gruppo di ostaggi. Sette terroristi in tutto che hanno provocato una mattanza terminata con l’irruzione delle truppe speciali. Il Bangladesh di oggi è diverso ma non troppo da quello che andò in scena quarantacinque anni fa a New York: i poveri sono tanti eppure in alcune zone il Pil cresce a ritmi indiani; ha conquistato l’indipendenza dal Pakistan ma è attraversato da divisioni e odi che trovano la loro origine proprio in quella battaglia; alla guida del Paese c’è la figlia del “padre della patria” che, però, gestisce il potere in forme estremamente autoritarie, colpendo con la sua polizia e il suo esercito più che altro gli oppositori e molto meno i terroristi islamici che, nel frattempo di sono divisi il “mercato”, da un lato Al Qaeda, dall’altro l’Isis.

Per una volta le forze politiche italiane hanno provato a dare, come di solito avviene in un solido e civile paese democratico, una risposta unitaria, anche se personaggi come Matteo Salvini non riescono proprio a rinunciare a trasformare in una occasione elettorale anche eventi così luttuosi: basterebbe un po’ di conoscenza della situazione per capire che l’Italia può dare tutti i soldi che vuole alle sue polizie, colmarle letteralmente d’oro, ma comunque quel che è avvenuto a Dacca non sarebbe stato evitato perché le radici sono da cercare lì e non qui.

In più dobbiamo rassegnarci a un paradosso: più l’Isis perde sul terreno di battaglia, più diventa pericoloso nel mondo spostando il suo interesse dal versante squisitamente bellico a quello più tradizionalmente terroristico. Lo ha spiegato qualche tempo fa in una intervista a “La Stampa” subito dopo gli attentati di Bruxelles, Alessandro Orsini, direttore del “Centro per lo studio del terrorismo” dell’università di Tor Vergata, docente di sociologia del terrorismo all’università romana di Tor Vergata, ricercatore del MIT di Boston. E, all’epoca, ancora le offensive scatenate per riconquistare Falluja o Mosul non erano ancora cominciate, le “colonie” del Califfato non avevano ancora subito il dimezzamento comunicato qualche giorno fa dagli americani (sia dal punto di vista territoriale che da quello degli effettivi delle forze armate).

Il professore spiegava: «L’Isis sta morendo. Sotto il profilo militare, l’Isis è il nulla che avanza nel niente. Tutte le sue conquiste sono avvenute in assenza di una seria opposizione. Quando è stato attaccato, con un minimo di determinazione, ha sempre perso. Il 2015 è stato per l’Isis un anno orribile, al punto che, nel gennaio 2016, al Baghdadi ha ridotto gli stipendi a Raqqa del 50% e ha introdotto la misura del pane calmierato. A gennaio 2015, ha perso la battaglia di Kobane; ad aprile, ha perso la città di Tikrit; a ottobre, ha perso Baiji, dove si trova un’importante raffineria; il 13 novembre, nel giorno della strage di Parigi, ha perso Sinjar e il 22 dicembre ha perso Ramadi. In queste settimane, ha perso anche Palmira. Quando la Russia e gli Stati Uniti si accorderanno sulla spartizione della Siria, rivolgeranno le loro armi contro al Baghdadi. l’Isis sarà finalmente raso al suolo». A quel punto, però, avrà una sola arma tra le sue mani: il terrore diffuso che per essere distribuito nel mondo non ha bisogno di eserciti ma di piccoli commando votati al “martirio”. Il Mondo, poi, è una entità meno controllabile di un campo di battaglia, decisamente più definito: si possono sempre trovare dei punti meno “controllati” e un pugno di esaltati disposti a trasformarli in piccoli cimiteri. D’altro canto, la militarizzazione del globo non è possibile, per motivi oggettivi e per motivi culturali legati alle nostre abitudini e ai nostri stili di vita a cui non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo rinunciare.

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