-di SANDRO ROAZZI-
Mentre gli inglesi sfilano per Londra inneggiando ad una tardiva… remain e lo scontro politico in Gran Bretagna è ormai totale, due questioni tengono banco in modo insidioso per l’Europa: l’effetto contagio e lo stato delle banche.
In questi giorni,come si prevedeva, i fautori di referendum anti Unione europea e antieuro hanno alzato la voce. In Ungheria come in Olanda c’è chi affila le armi ed attende rinforzi. Anche chi riscopre una visione di democrazia collegiale al grido di “non possono decidere solo in tre”, scalpita aumentando la dose di incertezza già grande. Incertezza che si avvale anche delle previsioni sulla crescita con tagli del Pil per il 2016 ed il 2017 che portano acqua al mulino della paura.
In prospettiva c’è anche l’eventualità che la Gran Bretagna, paese che esporta il 63% dei suoi prodotti in Europa, se la prenda comoda e punti a sforare il 2016 per prolungare il più possibile il destino Brexit.
In questa confusione lo scenario si aggrava con quella che appare essere una sorta di emergenza banche con le loro montagne di debiti “marci” come vengono definiti, non pochi dei quali ormai inesigibili. La varietà della casistica è da capogiro in Italia ma non solo: ci sono le sofferenze (in Italia poco meno di 90 miliardi si dice, le più pericolose), i crediti incagliati, quelli ormai scaduti, quelli che sono stati ristrutturati fra mille dubbi e traversie.
C’è chi arriva a calcolarne l’intero ammontare in oltre 300 miliardi di euro. Ma la gara alla cifra più alta resta aperta. Per giunta la Cgia di Mestre ci informa che nel nostro Paese l’80% delle sofferenze sono in capo a grandi società, le stesse – contraddizione apparente – che hanno più facile accesso al credito. E senza fare parallelismi inappropriati non si può tacere che nel passato si documentò in Parlamento che parte dell’evasione fiscale “perduta” in termini di riscossione… proveniva da un manipolo di “grandi” contribuenti infedeli.
E non era colpa della recessione. Fenomeni invece tollerati da un conformismo politico nei confronti della multiforme faccia dei potentati economici di casa nostra che è vecchio, trasversale e meriterebbe, questo sì, una vera rottamazione. Le misure di contrasto per ovviare alle difficoltà bancarie intanto sono sempre le stesse: l’unione bancaria che non si farà, il paracadute che ad esempio l’Italia (per fortuna) alzando la voce ha ottenuto, le ricapitalizzazioni e così via. Ma nel frattempo la sfiducia verso il sistema bancario tocca l’apice.
Come è possibile ad esempio che i lavoratori vicini alla pensione possano pensare di utilizzare un eventuale anticipo pensionistico che passa per banche e assicurazioni in un momento del genere? Pazzesco solo immaginare un successo per questa formula… Ed il risparmio? Se continua così tornerà l’era dei soldi nel materasso. Ma al di là degli effetti diretti, non può non preoccupare il riflesso sull’economia di un Paese come il nostro di queste difficoltà, maggiori di quelle della volatilità dei mercati: gli scricchiolii bancari affievoliranno ancor di più la propensione al rischio e il clima di fiducia già basso.
Quello che manca è che la politica riprenda in Europa e in Italia il suo posto che non è quello dello scontro fra mediocri per le leadership o dell’occupazione del potere approfittando delle debolezze dei competitori. Ma una politica che con forza torni a progettare un futuro vero per i cittadini. E non aspetti l’art. 50 dell’Unione europea. Qui la latitanza appare ancora completa. Mentre avanza la disgregazione sociale ed economica nel bel mezzo di una rivoluzione di sistema in economia e tecnologica. E’ il caso di dire: politica se ci sei batti un colpo… Ma quello buono, progettuale, per favore.