La democrazia malata dei sondaggi sbagliati

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-di ANTONIO MAGLIE-

I sondaggi sono ormai come il pane: vengono serviti caldi, perciò appetitosi, consumati e quel che resta infilato in un cestino della spazzatura (scarti alimentari, mi raccomando). Chi è nato in un’Italia che ancora risentiva dei venti della guerra, ricorda le mamme che si guardavano bene dal buttare quello che cattolicamente si identificava con “il corpo di Cristo” e pertanto doppiamente rispettato (nel suo aspetto spirituale e in quello economico). Ma nell’epoca del consumo “felice”, nessuno ci bada più. E perché, allora, dovremmo badare ai sondaggi, appendice inevitabile della politica? Anzi, premessa di una politica che non elabora più programmi ma che definisce “agende di lavoro” sulla base degli umori dell’elettorato o, come si usa dire, della “gente” (concetto decisamente più indefinito), tanto, poi, anche quelle agende faranno la fine del pane di risulta e dei sondaggi: un bel cestino e via distinguendo tra carta e materiali non riciclabili.

L’uomo che ha fatto la fortuna dei sondaggisti è stato sicuramente Silvio Berlusconi. Faceva tanto America e noi che siamo stati sempre un po’ innamorati di Nando Mericoni, sgangherato esegeta italiano del filoamericanismo provinciale nell’interpretazione indimenticabile di Alberto Sordi, ci siamo convinti che la vera Italia fosse quella delle percentuali puntualmente sciorinate alla vigilia di ogni grande appuntamento. Pian piano abbiamo trasformato la politica in un oggetto di consumo: la qualità sbiancante del mio dentifricio riformistico o controriformistico è garantita dal consenso ipotetico del 61,2 per cento del mercato. Abbiamo così dimenticato che il nostro è un paese decisamente bizzarro, straordinario ma anche un po’ bugiardo: per oltre quarant’anni la Dc ha vinto ma in giro non vedevi mai nessuno che si dichiarasse democristiano, così come per molto tempo solo i più “orgogliosi” ammettevano baldanzosamente di aver abbracciato la fede berlusconiana semmai dopo averla sostituita a quella scudocrociata. Abbiamo scoperto all’improvviso che il cattolicissimo Veneto, tutto Bisaglia e sacrestia, in realtà era profondamente leghista, tanto leghista che qualche buontempone sui muri invitava il Vesuvio e l’Etna a “purificare” l’Italia sommergendo di lava le città sottostanti.

I sondaggisti ora appaiono alle corde. Hanno clamorosamente sbagliato in occasione delle elezioni inglesi, poi hanno concesso la replica con il referendum britannico, quindi sono rovinosamente scivolati sulle ultime consultazioni spagnole. E anche in Italia hanno inanellato una considerevole serie di magre figure. Diciamolo con franchezza: la democrazia dei sondaggi è una democrazia malata perché non costruisce il consenso, più semplicemente cerca di inseguirlo. Ma in questa maniera la politica rinuncia ad essere quel grande strumento di elaborazione e confronto delle idee che è il tratto essenziale di una democrazia sana.

I sondaggisti fanno il loro mestiere ma dovremmo smetterla di considerare la proposta politica al pari di un deodorante per le ascelle o di una saponetta. Perché una delle finalità dei sondaggi è anche quella di manipolare l’opinione, il mercato, secondo i desideri dei committenti. Dovremmo provare a costruirci un’ opinione sulla base delle proposte. Ma a questo punto sorge un altro problema: in giro non sembra esserci qualcuno in grado di farle e poi di realizzarle. Conseguenza: votiamo, cioè scegliamo, in base a una spinta emotiva, a una situazione contingente, a una rabbia condivisa, al disorientamento generale; il cambiamento evocato non riguarda le potenzialità alternative di un programma ma il semplice accantonamento degli uni a vantaggio degli altri. Per carità, anche l’accantonamento può essere un esercizio meritorio in certe situazioni. Solo che spesso accade (la storia degli ultimi tre decenni nel nostro Paese lo conferma) che gli altri non siano poi tanto diversi dagli uni. A volte poi si rivelano anche meno capaci.

antoniomaglie

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