-di SANDRO ROAZZI-
Aumenta il reddito disponibile delle famiglie nel primo trimestre del 2016, +0,8% ma non basta per far rialzare la testa all’inflazione che a giugno con un misero 0,1%, secondo l’Istat, continua a galleggiare in prossimità della deflazione.
La bizzarria delle statistiche ci offrirebbe una spiegazione facile, facile: la propensione al risparmio delle famiglie in tempi tanto incerti si attesta all’8,8%, vale a dire con un aumento dello 0,8%. Tutto a risparmio allora? No, ma non va dimenticato che nei sette anni di crisi le famiglie per evitare un abbassamento del tenore di vita e per arrivare a fine mese hanno eroso il risparmio che ora tende inevitabilmente a ricostituirsi nei modi possibili. E pensare che lo scenario descritto dall’Istat per il primo trimestre offre qualche elemento positivo come il calo dell’indebitamento delle amministrazioni pubbliche di mezzo punto rispetto allo stesso periodo del 2015. Ma le contraddizioni in questo periodo sono di casa: se la quota di profitto delle società non finanziarie sale leggermente dello 0,1%, il tasso di investimento al 18,3 resta invariato.
Pare proprio che imprese e famiglie siano ancora restie ad utilizzare qualche miglioramento nella loro condizione economica per mutare aspettative rispetto al futuro. Il timore del passato è ancora forte.
Se la situazione non cambiasse a fine anno l’inflazione registrerebbe un -0,2% . Quella di fondo, a giugno, senza gli alimentari stagionali e i beni energetici, è inchiodata al +0,5%. A determinare questo andamento ci sono sempre di mezzo i prezzi del settore energetico le cui oscillazioni appaiono più evidenti per la lentezza della dinamica degli altri prezzi e per l’infinito periodo di promozioni e sconti che hanno ormai trasformato il mercato. Rispetto a giugno dell’anno scorso si nota però che uno dei settori più depressi, l’abbigliamento, segna un +0,5%, un sintomo sia pur tenue di una maggiore vivacità.
Ma come sarà il suo destino nei prossimi mesi, quando il made in Italy sarà chiamato a tenere nel trambusto post-Brexit? Ecco allora che ritornano due questioni vitali: una politica industriale che dia forza ai nostri asset migliori e una ripresa degli investimenti.
Nel frattempo ci sarebbe una utile scorciatoia: in Italia sono senza contratto undici milioni di lavoratori, pubblici e privati. I loro rinnovi sarebbero anche una spinta a consumi che hanno lasciato i livelli peggiori della recessione ma hanno bisogno di un colpo di reni per ripartire davvero. La chiamata in questo caso è per lo Stato e la Confindustria.