Dato che lo spirito di emulazione è molto forte, Matteo Salvini, leader euroscettico, in piena sintonia con la sua alleata al Parlamento Europeo, Marine Le Pen, ha tirato nuovamente fuori dal cilindro la proposta di un referendum, come se bastasse una consultazione popolare per risolvere problemi che riguardano soprattutto le leadership, la loro qualità, le loro scelte ideali di fondo. Non è la prima volta, d’altro canto, che la Lega Nord tira fuori l’argomento. Ci provò qualche anno fa Roberto Maroni, all’epoca capo di un partito che era stato travolto dallo scandalo che aveva coinvolto anche la famiglia Bossi. Tutti possono dire ciò che vogliono ma è opportuno sapere che si tratta di questioni regolate per legge, in alcuni casi provvedimenti costituzionali, e che quindi non sempre ciò che si desidera è poi effettivamente realizzabile.
In questo caso, poi, gli ostacoli da superare (anche per la convocazione di un referendum consultivo come quello che i pentastellati chiedevano sull’euro) sono abbastanza alti. Tanto per cominciare c’è la Costituzione che pone dei paletti piuttosto invalicabili. Dice infatti l’articolo 75: “E` indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum”.
Primo paletto: stante questa norma costituzionale, in Italia si possono convocare solo due tipi di referendum, abrogativo o, come quello che si svolgerà il prossimo autunno sulla riforma costituzionale, confermativo. Test di tipo prettamente consultivo non sono contemplati o, per contemplarli, occorre varare una legge costituzionale ad hoc. E’ quello che si fece, proprio sulla materia europea, ventisette anni fa. Il 18 giugno gli italiani vennero chiamati alle urne per l’elezione del Parlamento europeo. Contemporaneamente si svolse, sulla base della legge n.2 del 3 aprile 1982 (approvata all’unanimità) una consultazione consultiva di indirizzo relativamente alla trasformazione della Comunità in Unione e all’attribuzione dei poteri costituenti alla nuova assemblea europea. Infatti la domanda a cui gli elettori risposero era indicata nell’articolo 2 del provvedimento: “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione della Comunità europea in una effettiva Unione, dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando al Parlamento europeo il mandato di redigere una proposta di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli stati membri della Comunità?”
Ai seggi si presentò l’80,7 per cento del corpo elettorale, poco più di trentasette milioni e mezzo di italiani che con un’ampia maggioranza (88 per cento) diede una indicazione positiva alla trasformazione della Comunità in Unione e alla definizione di una Costituzione che non ha mai visto la luce. In quel caso i partiti erano tutti d’accordo e la legge venne approvata all’unanimità, cosa che evitò il ricorso al referendum confermativo, ultimo passaggio della complessa procedura di approvazione delle leggi costituzionali, passaggio a cui si fa ricorso quanto la norma non viene approvata con la maggioranza qualificata prevista. In questo momento, l’aria non appare da unanime accordo e i tempi di approvazione diventerebbero estremamente lunghi. E dato che nel 2018 (al netto di anticipi) ci sono pure le elezioni politiche, è molto probabile che se l’Iter cominciasse oggi, si interromperebbe a metà percorso o giù di lì.
La questione diventerebbe ancora più complessa se si volesse affidare alle urne, come hanno fatto in Gran Bretagna, la scelta di restare o uscire dall’Unione. La nostra adesione è il frutto di un trattato internazionale e in questo caso ci si va a scontrare con la specifica indicazione del secondo comma dell’articolo 75 con la conseguenza che i contrasti tra i partiti sarebbero ancora più accentuati e i tempi di approvazione di una eventuale modifica costituzionale ancora più rallentati. Morale: le questioni sono complesse e serissime. Non è proprio il caso di inseguire i funambolismi retorici di chi per esigenze di bottega prospetta soluzioni tremendamente semplificate.