Il libro è uscito da poco ma decisamente a proposito. Il titolo è significativo: “L’Europa e la rinascita dei nazionalismi”, l’editore è Laterza, l’autore, un grande storico, Valerio Castronovo. Nel giorno in cui la “rinascita dei nazionalismi” raggiunge l’obiettivo più ambizioso, cioè un colpo al cuore del progetto di unione europea con la ricostituzione di una “piccola patria” che induce Nigel Farage a parlare di giorno dell’indipendenza, vale la pena rileggere alcuni brani che in qualche misura fissano l’origine dei nostri mali. Serve a capire che la crisi attuale è la conseguenza degli errori di ieri: delle furbizie della Germania che con disinvoltura ha utilizzato la sua ricchezza per aggirare le resistenze degli alleati e accelerare il processo di riunificazione, della scelta francese di premere sulla nascita di una moneta unica come condizione per limitare il potere di una Berlino troppo grande per non risvegliare i fantasmi di un antico passato. La costruzione ora in crisi più che il frutto di un matrimonio d’amore, è stato la conseguenza di una partita di scacchi tra avversari che nutrivano non pochi dubbi sulla lealtà dell’avversario e perciò giocavano con la pistola occultata sotto il tavolo. Insomma, una storia nata male e che ora rischia di finire anche peggio.
-di VALERIO CASTRONOVO-
…Con la riunificazone tedesca, la Germania sarebbe tornata a essere il più grande e popoloso paese d’Europa, nel cuore del Vecchio Continente. S’era perciò riaffacciato il problema cruciale, di portata storica, denso di interrogativi per il futuro. Ci si chiedeva infatti, alla luce del passato e con l’apertura di nuovi orizzonti, quale ruolo avrebbe svolto la Germania. D’altronde, proprio in ragione delle tragiche vicende della seconda guerra mondiale scatenata dal Terzo Reich, e nell’intento di chiudere definitivamente un’epoca drammatica come quella della prima metà del Novecento, era stato concepito, dopo la fine del conflitto, il progetto di dare vita alla Comunità europea.
Erano pertanto più che comprensibili le forti preoccupazioni che assillavano il mondo politico e l’opinione pubblica francese, per la ricostituzione, al di là del Reno, di uno Stato tedesco territorialmente consistente ed economicamente vigoroso. Nella memoria collettiva i retaggi del passato non s’erano dissolti del tutto, ed era perciò inevitabile che ricomparissero gli spettri angosciosi del 1914 e del 1939.
Così pure era accaduto in Gran Bretagna, date le apprensioni suscitate dal ritorno in vita, al di là della Manica, di un megastato, con oltre ottanta milioni di abitanti e un considerevole potenziale industriale. Perciò il governo inglese aveva badato a riesumare dal cassetto una formula pregiudiziale contemplata nel trattato di pace, come quella del “quattro più due”, secondo cui la soluzione della “questione tedesca” non avrebbe potuto prescindere da una risoluzione unanime delle quattro potenze vincitrici dell’ultima guerra mondiale: al di là, perciò, di qualsiasi decisione fossero giunti a prendere i dirigenti di Bonn e di Pankov.
Da parte loro, né l’Italia né il Belgio avevano visto di buon occhio una riunificazione d’emblée della Germania, in considerazione delle incognite che avrebbe potuto generare in un sistema di equilibri internazionali ancora fragile e incerto. Del resto, alla Casa Bianca non si era dell’avviso che Bonn dovesse premere sul pedale. C’era infatti in America chi temeva che la Germania potesse un giorno sottrarre a Washington l’influenza che esercitava sul Vecchio Continente. Perciò il premier italiano Giulio Anreotti, essendosi consultato con il presidente americano George Bush, aveva ritenuto che Kohl non si sarebbe spinto a negoziare direttamente con Gorbacev il “via libera” di Mosca a un ricongiungimento delle due Germanie, ma avrebbe sondato preventivamente i suoi partner europei.
Che Kohl avrebbe agito di conseguenza era stata dunque l’impressione emersa dopo quanto il Cancelliere aveva affermato, il 22 novembre, nel Parlamento di Strasburgo di fronte agli altri rappresentanti della Comunità europea, sorpresi e disorientati in seguito alla svolta determinata dall’improvviso smantellamento della frontiera che per quasi trent’anni aveva diviso le due sezioni dell’ex capitale tedesca. D’altro canto, al fine di risultare più convincente, Kohl aveva voluto che accanto a lui, durante il suo intervento, ci fosse il presidente francese Francois Mitterrand.
Senonché il Cancelliere, una volta assicuratosi il placet di Washington, concessogli dalla Casa Bianca purché s’impegnasse a portare la Germania riunificata nell’ambito della Nato, era riuscito nel settembre 1990 a ottenere rapidamente il consenso di Mosca all’incorporazione della Ddr nella Repubblica federale tedesca in cambio di un piano di massicci aiuti finanziari al governo sovietico da parte di Bonn. Aveva anche promesso, in realtà, che la Germania orientale non sarebbe stata inclusa nella Nato per non compromettere la distensione con l’Urss. Tanto che sarà successivamente Bush a dover sciogliere questo nodo nel giugno 1991, nel corso di un incontro a quattr’occhi con Gorbacev.
Non era rimasto perciò alla Francia e alla Gran Bretagna che far valere il loro “diritto di riserva” sulla “Germania come tutta”, previsto dal trattato di pace stilato a suo tempo, per cercare di alzare il prezzo del loro riconoscimento al ritorno sulla scena di uno stato unitario tedesco. Non poteva infatti bastare a Parigi e a Londra che Kohl avesse provveduto a dichiarare, sulla scia di quanto aveva espresso a suo tempo Thomas Mann, che non voleva assolutamente “un’Europa tedesca” bensì “una Germania europea”.
In questo complesso gioco delle parti Mitterrand aveva dalla sua attitudini personali e carte diplomatiche per trattare direttamente con Kohl, rispetto a Margaret Thatcher, a cui interessava soprattutto il mantenimento dei tradizionali “rapporti speciali” tra Londra e Washington (anche perché dava per scontato che l’Europa sarebbe divenuta alla lunga “tedesca”). Del resto, per il presidente francese si trattava, se non voleva appunto che la Germania, una volta riunificata, alterasse i precedenti rapporti di forza con Parigi e finisse prima o poi per acquisire una posizione preminente, di legarla più strettamente, e per tempo, al carro delle istituzioni europee: senza che per questo si dovesse modificare la configurazione a carattere intergovernativo della Comunità.
In pratica, al punto in cui stavano le cose, era parso all’inquilino dell’Eliseo che l’unica soluzione realistica e insieme avveduta e conveniente in relazione agli specifici interessi francesi, consistesse nella rinuncia di Bonn al suo tanto amato deutsche mark, a favore di una costituenda moneta unica europea, quale contropartita per la riunificazione tedesca.
* Stralci dal primo capitolo (“La condizione francese alla riunificazione tedesca”) del libro di Valerio Castronovo: “L’Europa e la rinascita dei nazionalismi”, Laterza, giugno 2016, pagg. 208, euro 16,00