-di GIANCARLO MERONI-
Alea jacta est. Ma questa volta “Cesare il piccolo”, David Cameron, ha perso la battaglia e la guerra. E’ stato un pessimo stratega: ha perso il potere e ha fatto un cattivo servizio al suo Paese Questioni cruciali come quella dell’uscita dall’ Ue. non possono essere oggetto di un referendum senza correre il rischio di diventare preda della demagogia, fomentata dall’emotività e da paure e istinti primordiali laddove occorrerebbero ponderazione e razionalità. La tanto esaltata democrazia plebiscitaria ha di fatto consegnato il destino della nazione e il futuro dell’Europa nelle mani di circa il 38% dei cittadini britannici votanti e decretata la separazione di fatto (e probabilmente di diritto) della Scozia e dell’Irlanda del Nord
E ora cosa succederà? Innanzitutto bisogna sapere che la strada per uscire dall’Europa ( perché proprio di questo si tratta e non della semplice rescissione di vincoli giuridici e di relazioni economiche e commerciali) sarà lunga e piena di incertezze: il limite previsto dai trattati per concludere il processo di distacco è di due anni, ma la complessità dei problemi tecnici e politici è tale da rendere molto improbabile il rispetto di tale tempistica.
Pur non essendoci precedenti di rescissione volontaria, analoghe trattative, come quella con il Canada, sono in corso da 10 anni. Eventuali proroghe dovrebbero essere concordate e quindi essere frutto di un accordo politico che dovrebbe trovare il gradimento degli stati membri. Dunque per un lasso di tempo non breve la Gran Bretagna, se esisterà ancora, sarà tenuta a rispettare le direttive e le decisioni dell’Unione senza avere alcuna voce in capitolo nella loro definizione e potrà godere dei vantaggi e dei privilegi dei cittadini e degli Stati membri.
Ma non anticipiamo i tempi: attualmente, a parte la decisiva manifestazione di volontà popolare, non c’è alcuna Brexit. Le procedure previste dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona stabiliscono che la richiesta di recessione deve essere presentata dal Governo Britannico al Consiglio dei ministri della UE che iniziano le trattative per regolare i reciproci rapporti; parallelamente si sviluppano le trattative commerciali. Alla fine dei negoziati il Consiglio Europeo presenta una proposta al Governo britannico che può accettarla o respingerla. Nel frattempo, però, si è aperta la crisi politica di Governo dopo le dimissioni di Cameron che potrebbe essere complicata da eventuali iniziative di Scozia e Irlanda. Quindi i tempi si allungano, mentre la situazione economica e finanziaria britannica, ma anche europea e internazionale assume aspetti drammatici e urgono provvedimenti urgenti.
In questo quadro è probabile che governi e movimenti antieuropei prendano iniziative volte ad allentare i vincoli sovranazionali, a partire dall’emigrazione, in un processo che, pur non avendo come obiettivo principale l’uscita dall’Unione, potrebbero alla fine sfuggire di mano. Non dimentichiamo, poi, che sono alle porte le elezioni in Germania, Francia e Spagna e in alcuni paesi dell’Est Europa, come la Romania. La crisi politica che sta scuotendo l’Unione ha, in effetti dimensioni globali e si inquadra nel processo di riorganizzazione sociale indotto dalla ristrutturazione dell’economia capitalistica su scala mondiale che, in forme diverse, secondo il contesto culturale e le infrastrutture politiche e istituzionali, sta rimettendo in discussione i rapporti di potere fra le classi dirigenti.
Fenomeni politici come quelli che si stanno verificando in Gran Bretagna si sono manifestati e, con tutta probabilità, si manifesteranno, in altri Paesi europei e negli StatiUniti. Considerati i tempi che occorreranno per rendere operativa la Brexit , l’incertezza e l’insicurezza che coinvolge ampie categorie sociali e gli operatori economici e il clima di disaffezione e sfiducia che circonda le classi dirigenti sarebbe pericolosa ogni forma di passività e calcolo utilitaristico. Bisogna prendere atto che per salvare l’Europa e quello che rappresenta in termini di cooperazione, solidarietà , salvaguardia dei diritti umani e sviluppo economico e sociale, occorre che i Paesi che si riconoscono in questo progetto dichiarino esplicitamente di volere subito fare un passo avanti verso l’integrazione politica ponendo al suo centro il recupero della sicurezza e della fiducia e puntando fortemente sulla partecipazione e sbarrando la strada al plebiscitarismo demagogico.