Campane a morto per l’Europa tedesca

European and German flag

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

La Gran Bretagna elegantemente esce di scena. E partono i mea culpa. Colpa dell’Europa? Colpa dell’idea di Europa? E se invece fosse colpa di una politica tedesca volta a prevaricare gli Stati membri per il proprio tornaconto?

Nel 1989 con la caduta del muro di Berlino il popolo tedesco ha conquistato la fiducia in sé stesso e l’unificazione ha funzionato come strumento per liberarsi dal senso di colpa dovuto al recente passato nazista. Grazie alla lavoro del suo popolo, alla disciplina finanziaria (ma anche a una certa flessibilità che le venne riconosciuta e che oggi lei non riconosce ad altri) la Germania è riuscita a diventare in pochi anni il paese più potente dell’Unione Europa. Sembrò evidente allora e lo è ancor di più adesso, che Berlino non volesse avere un ruolo pari a quello degli altri Stati Membri.

La Germania con la dichiarazione di indipendenza di Croazia e Slovenia si è presa la briga di riconoscerli ancora prima che venisse formulata una politica comunitaria. Ha messo lo zampino nell’allargamento verso Est, così come nell’introduzione dell’euro malgrado la mancanza di strutture idonee, così come nella chiusura delle frontiere e nella gestione dell’immigrazione. La crisi che colpisce l’Eurozona dal 2008 ha regalato a Berlino ancora più potere e gli ha permesso di imporsi sull’Europa, a volte anche in modo prepotente. Chi ha dato mandato a uno stato comunitario di sostituirsi a quasi tutti gli organi istituzionali comunitari: i vertici europei, l’Ecofin, la Bce? Vertici troppo spesso sembrano solo confermare decisioni prese e preannunciate da Berlino.

La ricetta tedesca per risolvere la crisi si basava sull’austerità e su una disciplina finanziaria molto rigida, rigida oltre o i limiti dell’ottusità e del buon senso, strumento quest’ultimo essenziale per produrre buona politica. Ricette imposte a Grecia, Portogallo, Spagna e Italia. Governi e capi di governo scelti perché considerati fiduciari di circoli finanziari che trovavano in Berlino il loro punto di riferimento globale. Segni di miglioramento? Nessuno. La recessione è continuata, di pari passo con la disoccupazione e il malessere sociale. La Finlandia, così filo-tedesca, è precipitata della crisi e oggi appare più silenziosa rispetto a un paio di anni fa. La Grecia, invece, è stata ridotta al silenzio e passeggia sull’orlo di un baratro verso cui è stata trascinata con protervia. Tra i principi dell’Ue, ricordiamocelo, c’è la convergenza economica e la coesione sociale: di coesione nemmeno a parlarne, per quanto riguarda la convergenza la si è notata in direzione del soddisfacimento degli interessi tedeschi a partire dal surplus commerciale i cui limiti Berlino ha potuto superare tranquillamente senza che nessuno la invitasse a fare i compiti a casa (ad esempio, non l’ha invitata Mario Monti, così amato in Germania, che pure all’Italia di compiti ne ha fatti fare tanti sino a stremarla).

Negli ultimi due anni la Merkel e il suo ministro delle finanze, l’accigliato Schaeuble, hanno inanellato straordinari insuccessi, creando così l’anticamera di quest’ultimo fallimento. La crisi greca condotta con una cecità senza precedenti (e con la complicità di tutti i capi di governo europei, Renzi compreso), rifiutandosi di capire che l’unica strada possibile era la ricontrattazione del debito che ora persino il Fondo Monetario Internazionale, istituzione sicuramente non nota per l’ abilità terapeutiche nella cura delle crisi finanziarie mondiali, reclama a gran voce.

Poi è arrivata la questione dei migranti gestita in maniera ondivaga e guardando soltanto agli interessi di Berlino. Prima le chiusure, poi le aperture per selezionare “buona forza lavoro”, quindi le trattative con un paese e un presidente che hanno imboccato una deriva autoritaria, lontanissima dei principi democratici degli stati europei. Soldi alla Turchia in cambio del mantenimento dei profughi nei campi al confine con la Siria; profughi che Erdogan usa come arma di ricatto, aprendo e chiudendo il rubinetto, giocando come in un suk sul prezzo (in questo caso, però, parliamo di vite umane). Infine le trattative con David Cameron, leader confuso e confusionario: la Gran Bretagna che diventava una sorta di nazione a statuto speciale, una condizione che nel tempo avrebbe provocato una certa irritazione tra gli altri stati membri dell’Unione trattati diversamente e più severamente, insomma, lo stesso effetto domino che si è prodotto ora. Tre veri capolavori di lungimiranza politica.

La Merkel, Schaeuble e la Germania hanno assunto sempre più i tratti di Tucidide e di Atene. Speriamo che la fine non sia la stessa, che così come è tramontata Atene, non tramonti l’Unione Europea.

Valentina Bombardieri

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