-di ANTONIO TEDESCO-
Un tema che sta riemergendo in questi giorni sui principali quotidiani nazionali è il tema della “disuguaglianza” e la questione che, per certi versi, il nostro sistema economico e politico sia fondamentalmente iniquo. Se osserviamo con attenzione i dati economici del nostro Paese notiamo che si allarga costantemente la “forbice della disuguaglianza” con una netta polarizzazione della ricchezza, sempre più in mano di pochi mentre aumentano i poveri e i disoccupati e si impoverisce il ceto medio.
Oggi l’Italia è il Paese con il maggior numero di poveri d’Europa ed è tra i paesi che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse. L’Italia ha un indice di Gini pari a 0,34: ovvero, due individui presi a caso nella popolazione italiana hanno mediamente, tra di loro, una distanza di reddito disponibile pari al 34% del reddito medio nazionale.
Il prezzo che paghiamo con l’aumento delle disuguaglianze nel nostro Paese è un sistema sempre meno efficiente e meno capace di crescere, con una democrazia indebolita dalla prevaricazione del mercato e dagli interessi delle multinazionali a discapito dei lavoratori e dei cittadini.
Come sostenuto dal Premio Nobel, Joseph Stiglitz, i mercati hanno un potere enorme ma non hanno alcuna caratteristica morale intrinseca. Dipende da come li gestiamo. Il governo avrebbe tutti i mezzi e il potere di spostare le risorse e determinare il grado di disuguaglianza nel nostro Paese ma non interviene. Certo, sono processi lunghi che non si esauriscono in una sola legislatura ma l’impressione che abbiamo è che siamo difronte ad un sistema “non governato”, in cui la politica non interviene per arginare le “distorsioni” del mercato economico, salvo con alcune misure del tutto insufficienti.
A questo punto è normale chiedersi se le iniziative dell’attuale governo siano protese alla redistribuzione delle ricchezze nel Paese e alla riduzione delle disuguaglianze, della povertà e dell’emarginazione sociale. Gli “80€”, cavallo di battaglia dell’attuale premier, per fare un esempio, sono una forma di redistribuzione delle ricchezze? Gli economisti hanno dato giudizi discordanti. Quello che è certo è che ogni iniziativa protesa a spostare risorse dall’alto verso il basso è positiva. Gli “80€” aumentano il potere di acquisto (in media del 4-5%) di una fascia di lavoratori in forte difficoltà, a rischio pauperizzazione. Ma è evidente che la costosa misura non abbia determinato una riduzione della disuguaglianza nel Paese; perché la disuguaglianza aumenta quando non ci sono le protezioni sociali, quando si tagliano le risorse all’Università e alla Sanità pubblica. E anche perché ha riguardato solo alcune categorie ma non tutti coloro che versavano nella condizione indicata per ottenere l’accesso a quel beneficio. Anche per questo chi è affezionato alle teorie keynesiane (ormai pochissimi) propende soprattutto per l’uso della leva fiscale in tutti i suoi aspetti impositivi e non solo relativamente al quello sul reddito. La disuguaglianza aumenta quando non ci prendiamo cura dei milioni di pensionati poveri e dei disoccupati emarginati dal mercato del lavoro che vivono sotto la soglia di povertà (sopratutto nel Sud Italia).
Ci sono vari modi per spostare il denaro dall’alto verso il basso e il centro, o viceversa. In primo luogo con un equo sistema fiscale (che svolge un ruolo cruciale), con una seria lotta all’evasione fiscale (che toglie risorse ai servizi pubblici), un vero ripristino della progressività che non puà riguardare soltanto una forma di imposizione, con investimenti a favore delle fasce più deboli e con politiche in materia di investimenti economici.
L’impressione è che negli ultimi anni siano prevalse in Italia le teorie liberiste di Smith (“la mano invisibile”, la capacità del mercato di autoregolarsi anche se poi sempre Smith parlava, ad esempio, di funzione sociale degli imprenditori) e meno quelle socialdemocratiche e che abbiano vinto i sostenitori della teoria delle “ricadute favorevoli” (quello che gli economisti liberisti chiamano “effetto cascata”, cioè lasciando più denaro a chi sta in “alto” avvantaggerebbe tutti, perché porterebbe ad una maggiore crescita). Il tutto accompagnato da politiche fiscali che hanno ridotto la progressività, spostato la tassazione sul versante indiretto (come, non a caso, viene chiesto dalle leadership europee), sostanzialmente abolito alcune imposizioni che hanno determinato un’ ulteriore polarizzazione dei redditi e dei patrimoni (ad esempio, gli interventi che anche in Italia sono stati compiuti sulle tasse di successione favorendo a costi decisamente contenuti la trasmissione di grandi eredità).
Quello che possiamo dire con certezza è che la politica e i governi possono fare molto per la riduzione delle disuguaglianze; anche i Sindaci possono fare molto, costruendo asili nido nei propri Comuni ad esempio, investendo in cultura e nelle politiche a favore dei giovani e della coesione sociale.
Il tema della redistribuzione delle ricchezze è l’aspetto centrale (o dovrebbe esserlo vista l’incidenza che hanno avuto pure su questo fronte le predicazioni liberiste determinando un annacquamento delle elaborazioni originarie) dei programmi dei partiti socialisti e di sinistra di tutto il mondo (anche nella visione di Sanders in USA) e in Italia?