-di SANDRO ROAZZI-
La ripresa continua a mostrarsi timida mentre la deflazione si fa più… morbida. A maggio, secondo l’Istat l’ inflazione di fondo che è poi quella che conta, depurata da energia e prodotti stagionali, segna uno 0,6% in leggero aumento sul mese precedente anche se per ora l’inflazione acquisita (senza cioè mutamenti fino alla fine dell’anno) segna ancora un -0,3%. E’ un indicatore che dimostra non solo la lentezza della crescita ma anche il permanere di contraddizioni e di incertezze. E che si rimane lontani da un approdo in territorio positivo della dinamica dei prezzi. Del resto ad un Paese che vede raddoppiati i livelli di povertà, con la stasi di importanti rinnovi contrattuali e con le tante turbative che provengono dall’estero, non si può chiedere certo la luna.
Del resto ci si muove a vista anche sul terreno dell’occupazione. Secondo l’Inps il ricorso alla Cassa integrazione è stato pari a 62,3 milioni, in diminuzione del 5,7% rispetto allo stesso mese del 2015 (66 milioni) e in rialzo del 9,2% su aprile 2016. Ma l’aspetto più interessante è dato dal fatto che nel settore dell’edilizia si riscontra un calo del 26,5% rispetto allo stesso mese del 2015, confermando che il settore è avviato verso stagioni meno tempestose di quelle vissute durante la recessione.
Difficile ignorare però che soprattutto nell’industria le difficoltà non mancano e si manifestano nell’incremento continuo della cassa integrazione straordinaria che è di supporto alla ristrutturazioni: nel mese di maggio 2016 rispetto al mese precedente si registra una variazione congiunturale pari al 3,8%. Ed in questo caso riemerge il nodo dei futuri assetti industriali che chiamano in causa l’esigenza di una politica industriale nella quale oramai sono in molti a ritenere necessario anche un ruolo del Governo. Almeno in quattro direzioni: impulso agli investimenti, giustizia, efficienza della Pubblica amministrazione, reti infrastrutturali. Un terreno sul quale non si parte da zero ma che richiede uno sforzo notevole e capacità progettuale.
E’ indubbio che il contesto ancora una volta non aiuta: le fibrillazioni dei mercati sull’interrogativo Brexit rischiano di inchiodare politica ed economia in una sfibrante attesa. Non tanto per le immediate ripercussioni (forse la peggiore potrebbe rivelarsi quella sullo spread) controllabili e sulle quali si approntano le difese, quanto per i futuri assetti del Vecchio Continente con il pericolo di sgretolamento della costruzione europea per emulazione da Brexit, il crescere delle spinte nazionalistiche, lo scontro fra coloro che vorrebbero una reazione in termini di maggiore integrazione europea e chi si opporrà. E quando prendono campo paure, incertezze ed egoismi, spesso la crescita torna ad essere un araba fenice.