-di SANDRO ROAZZI-
Si chiama Ape ma non è tutto…miele. Il prestito per la pensione per i lavoratori ormai vicini al traguardo ed in grado di garantire flessibilità in uscita dal lavoro ha suscitato reazioni caute ma non negative da parte sindacale, un indubbio passo in avanti su un terreno accidentato.
Le stime del Governo sulla platea dei potenziali beneficiari non sono ancora note anche se tempo addietro si parlava di un numero che oscillava attorno alle 40-50 mila unità. Sono lavoratori nati nei primi anni ’50, a tre o meno anni dalla uscita per la pensione, impigliati nelle maglie strette della legge Fornero che ha posticipato il loro addio al lavoro. Quelli che opteranno liberamente per chiudere con il lavoro sanno che dovranno accollarsi anche gli interessi sul prestito; quelli che sono senza lavoro e pensione dovrebbero essere supportati dallo Stato (in tutto? In parte?). Si parla di un onere complessivo che può anche arrivare ad un mese di pensione l’anno. Non chiaro il destino di coloro che hanno sostenuto lavori usuranti. I sindacati escono comunque riconfortati dal fatto che sparisce la prospettiva delle penalizzazioni e che sarà l’Inps l’unico interlocutore dei lavoratori.
L’Istituto, come ha già fatto altre volte, “dialogherà” con le banche ed assicurazioni che sperano in un colpo solo di acquisire due vantaggi: incassare senza colpo ferire gli interessi su questa operazione, anche se sarà importante capire il meccanismo concreto (ad esempio se e come varieranno i tassi); utilizzare probabilmente anche esse il prestito per i loro dipendenti più anziani dopo il monito di Bankitalia a… sfoltire le file.
Il capitolo banche farà ancora discutere, secondo Trefiletti (Federconsumatori) meglio una modifica equa della Fornero che “andare in pensione con un mutuo” facendo guadagnare le banche.
Nel caso di ristrutturazioni poi il Governo avrebbe confermato ai sindacati che le aziende saranno chiamate a concorrere agli oneri previsti per il prestito. Ma non è la prima volta dagli anni ’90 in poi che procedure di alleggerimento del personale sono state messe in essere, specie nel variegato mondo delle piccole imprese, senza grandi risultati sul piano della crescita aziendale, di nuovi investimenti, del posizionamento dell’impresa e della ricerca. Insomma potrebbero verificarsi casi nei quali i lavoratori messi alle strette da un rapporto di forza sfavorevole accettino la flessibilità come una costrizione di fatto pagando, è il caso di dirlo, pure gli… interessi. Un passaggio delicato anche perché non è detto che con tagli al personale si aprano le porte a giovani lavoratori, in quanto in atto c’è una rivoluzione tecnologica dai robot ai sistemi digitali.
Banche e licenziamenti insomma paiono essere due punti ancora da chiarire. Tutto questo in un momento di grandi affanni con l’avvicinarsi del rischio Brexit, o, in modo più domestico, il crescere del debito pubblico giunto a 2230 miliardi di euro. Inutile domandarsi come mai il Governo non voglia nuovi problemi con Bruxelles e sopportare costi troppo elevati.