Libri: il potere sullo sfondo di Mafia Capitale

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-di ANTONIO MAGLIE-

Due morti ammazzati su una pista ciclabile, un sindaco ucciso praticamente in diretta televisiva, un commissario in piena crisi esistenziale e familiare insoddisfatto sul lavoro e incompreso dalla moglie. Tutto intorno politici affamati di potere, corrotti e depravati. Gli ingredienti di un giallo appassionante ci sono tutti e tengono avvinto il lettore sino all’ultima frase, sino all’ultima scena. C’è Mafia Capitale e ci sono i servizi segreti deviati. Sullo sfondo, Roma vista dall’interno dei meandri di un potere decadente e degradato, in cui domina l’indifferenza verso la vita delle persone, in particolare verso gli immigrati trasformati in una miniera d’oro e in una occasione per distribuire “mazzette”, per finanziare più che la politica, i politici.

Federico Bonadonna è un antropologo e oggi vive e lavora in Etiopia. Ma per undici anni ha lavorato al comune di Roma, al settore politiche sociali. Il “giallo” che mette in scena in questo suo primo romanzo (“La cognizione del potere”) è frutto della sua fantasia. Ma se, come si dice, la realtà supera spesso la fantasia, allora non si fatica a immaginare che la realtà, gli anni vissuti all’interno di un osservatorio particolare com’è il comune della Capitale, sono stati una ricca fonte di ispirazione.

I personaggi sono inventati; gli avvenimenti pure. Eppure dalla lettura emergono spezzoni di identikit; dalla trama emergono riferimenti a quel che è balzato nell’ultimo anno agli onori della cronaca con l’inchiesta a tutti nota con un nome semplicissimo: Mafia Capitale. In questi giorni di scontro politico, quel passato è ritornato spesso, evocato anche dai candidati che hanno provato a conquistare un posto al ballottaggio di domenica prossima. E sulle scelte degli elettori ha avuto un peso non irrilevante, sia dal punto di vista dei cittadini romani che hanno deciso di non partecipare al voto (ben oltre il 40 per ceto degli aventi diritto), sia dal punto di vista delle preferenze (i dieci punti di distacco inflitti dal candidato pentastellato, Virginia Raggi, a quello democratico, Roberto Giachetti, sono figli anche di quelle vicende e delle contraddizioni manifestate dal Pd nella gestione del “caso Marino”). Questo thriller ci offre di quello scandalo una chiave di lettura più leggibile e affidabile di complessi saggi sulla natura del potere. Perché il romanzo finisce per apparire una “cronaca fantasiosa”, un resoconto giornalistico sotto forma di “prodotto narrativo”. Le costruzioni fantastiche oggi ci sembrano, anche alla luce delle indagini, così credibili da risultare realistiche.

Eppure, in larga misura, questo libro è stato scritto dall’autore diverso tempo prima dell’esplosione dello scandalo che ha travolto la giunta Marino e portato Roma alla elezioni anticipate dopo un periodo di gestione commissariale. Certo, è stato aggiornato anche per recuperare concetti (come il “mondo di mezzo”) che con l’inchiesta della procura romana sono diventati di dominio pubblico, utilizzati come strumenti di interpretazione di una vicenda che ha scosso alle fondamenta il sistema di potere capitolino. Il libro tiene desta l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima riga; il ritmo è serrato, la narrazione vivace e condita di ironia. Ma soprattutto il libro ci aiuta a capire cosa può essere oggi la politica e la lotta per il potere.

Federico Bonadonna: “La cognizione del potere”, Castelecchi, 2015, pagg. 237, euro 17,50

Il commissario Colacchi

-di FEDERICO BONADONNA-*

Nella discesa verso la pista ciclabile Bruno Colacchi scivola sull’erba fradicia e finisce contro una rete metallica arrugginita. Impreca. Poi affonda le mani in tasca e attraversa a testa bassa l’asfalto rossastro e sbriciolato della pista.
“Dottore, stia attento a dove mette i piedi”, l’avverte il giovane ispettore Silvia Neri.

Sulla pista c’è il primo corpo coperto dal lenzuolo bianco. Il poliziotto alza lo sguardo verso un cespuglio di oleandri dove, in mezzo ai rifiuti, c’è un secondo lenzuolo che avvolge l’altro corpo.

“Il primo uomo è stato colpito alla nuca. L’altro è stato accoltellato e poi trascinato sotto quella radura”, dice Neri indicando il cespuglio. “Dopo l’autopsia avremo informazioni più precise”.
“Certo, certo”.
“La scientifica non ha trovato niente nelle loro tasche”.
Colazzi infila in bocca la prima radice di liquirizia della giornata e annuisce.
“I ciclisti che li hanno scoperti conoscevano i due uomini. Era una coppia appassionata di jogging. Facevano spesso questo percorso. Erano sposati da sette anni”.
“Sposati?””
“Sì, in Spagna”.
L’ispettore consulta il suo blocco di appunti: “Alessandro Petroni era un grafico, titolare di una piccola agenzia pubblicitaria. Avrebbe compiuto cinquant’anni tra poche settimane. L’altro invece si chiamava Mario Galuzzi, aveva trentotto anni e faceva il professore di matematica alle superiori”.
“C’è altro?”
“Purtroppo manca ancora all’appello Buck, il cane, un pastore maremmano. Pare stesse sempre con loro”.
“Mmh”.
“Se vuole parlare con i ciclisti, sono lì dietro il nastro”.
Colacchi si avvia verso il confine di polietilene che delimita la scena del delitto e che per un tratto costeggia l’Aniene lungo la pista ciclabile.
“Dottore, loro sono il signor Benincasa e la signora Militello entrambi conoscevano le vittime”, dice l’agente Angelo Romano.
I tre stringono la mano in fretta e Colacchi chiede: “Da quanto tempo frequentate la pista?”.
“Una decina d’anni”, risponde Benincasa. “E ogni anno è sempre peggio: ormai è fuori uso, il fossato è pieno di baracche e quando arriva il buio non è prudente stare qui, con tutti questi stranieri”. Benincasa abbassa lo sguardo e mormora:: “Non sono razzista ma prima non era così”.
Colacchi annuisce e l’uomo aggiunge: “Può vedere lei stesso l’invasione delle baracche, e questo è l’unico polmone verde della zona. Saranno centinaia lungo il fiume e arrivano fino ai vagoni della stazione ferroviaria di Nuovo Salario. Ci vivono almeno un migliaio di persone, tra stranieri, barboni e zingari”.

Colacchi scruta l’orizzonte. Davanti a lui c’è il vecchio mulino ad acqua mezzo diroccato, evidentemente occupato da senzatetto. Appesi alle finestre informi, sventolano dei vestiti. Sull’altra riva del fiume s’intravedono alcuni vagoni ferroviari in disuso piantati su un binario morto avvolto nell’erba alta.
“Il comune ci ha abbandonato. Il sindaco parla di centinaia di aree verdi, ma è una balla. Un anno fa qui c’è stato un altro delitto”.
Colacchi lo ricorda bene: niente soldi per l’indagine, e delitto subito archiviato.
“Anche il caso di questi due finirà così”, pensa.
“Il comune non ha fatto niente per mettere in sicurezza il parco. Siamo al Far West. Abbiamo paura”.
Alle spalle del commissario arriva Silvia Neri: “Dottore, abbiamo trovato il cane, venga a vedere”.
Il corpo del pastore maremmano giace vicino a un cespuglio di alloro.
“L’hanno ammazzato a bastonate”, dice l’ispettore della scientifica Marco Lallimi. “Ha il cranio fracassato ma prima di morire ha lottato. Tra i denti ci sono frammenti di stoffa intrisa di sangue”.
“Voglio i risultati delle analisi del tessuto al più presto”, intima Colacchi, anche se è consapevole che ci vorranno settimane perché manca il personale, oltre ai soldi per i reagenti.
“A meno che questo delitto non interessi a qualcuno”, pensa.
Colacchi si ira lentamente in bocca il bastoncino di liquirizia. “Forse le associazioni gay… Oppure gli animalisti…”
“Mmh”.
“I giornali ne parleranno. Il fatto potrebbe interessare a qualcuno. E forse i soldi per i reagenti salteranno fuori”.

Poi alza gli occhi, il sole è scomparso, il cielo è di nuovo grigio. Con un brivido tira su il bavero del giubbotto e si gira verso il binario molto. “C’è un modo per attraversare il fiume e arrivare al deposito dei treni senza risalire sulla Salaria?”.
“Una volta c’era un ponticello di legno che collegava le due sponde con le piste ciclabili. Poi il comune l’ha fatto togliere per evitare che lo usassero gli zingari e gli immigrati, ma siccome a quelli il ponte serve, ne hanno costruito uno con le palanche di cantiere”, dice Benincasa.
“Dov’è?”.
“Segua la ciclabile fino al vecchio mulino, è proprio dietro quella radura. Ma stia attento è pericoloso”.
Ciolacchi fa cenno all’ispettore Neri di Seguirlo e i due si avviano verso l’edificio diroccato.
“Di quale epoca sarà?”, chiede Neri.
Colacchi scuote la testa.
“Forse è vincolato dalle belle arti”.
“Ecco, brava Silvia, fai una verifica. E visto che ci sei, scopri anche chi sono e quanti sono gli accampati della zona”.
Potremmo fare una ricognizione con l’elicottero. Ammesso che ci siano i soldi per il carburante. Con un po’ di fortuna potremmo sorvolare l’area già domani. Se vuole avvio le procedure”.
Colacchi facendo due conti: “Un’ora di vola costa duecentomilacinquecento euro e le casse sono vuote…”.
Ma forse questa indagine potrebbe scuoterlo dal torpore in cui sta sprofondando.
“Procedi”, dice.

*Stralcio di un capitolo del libro di Federico Bonadonna “La cognizione del potere”, Castelvecchi Editore

 

antoniomaglie

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