Il consumismo trasforma tutto in gadget. Anche il peggio. E’ noto che in edicola i giornali arrancano, stretti nella morsa di una crisi che ha prodotto un drastico taglio dei consumi voluttuari (dalla tazzina di caffè al bar al quotidiano che normalmente l’accompagnava) e di una terza rivoluzione industriale che ha cambiato i modi, le forme, gli strumenti dell’offerta informativa. Ma che un bel giorno il “Mein Kampf” di Adolf Hitler potesse trasformarsi in un mezzo, all’interno di un paese democratico come sembra ancora essere l’Italia, per trainare le vendite di una testata sinceramente pochi (probabilmente i nostalgici di certe ideologie che pure tra di noi non mancano) lo avrebbero messo nel conto.
Sicuramente non lo aveva messo la comunità ebraica la cui indignazione non solo è legittima e condivisibile ma anche da assecondare. Ci sono valori che straordinarie tragedie umane avrebbero dovuto rendere più duri del granito. Vorremmo ricordare al direttore de “il Giornale”, Alessandro Sallusti, che gli aguzzini della Gestapo fra le 5,30 e le 14 del 16 ottobre 1943 rastrellarono a Roma nella zona del Portico d’Ottavia 689 donne, 363 uomini e 207 bambini: pochissimi fecero ritorno nella Capitale. Gli aguzzini della Gestapo erano armati da un punto di vista materiale di mitra, da un punto di vista ideologico esattamente dai deliri contenuti in quel libro che il quotidiano ha deciso di trasformare in un gadget manco fosse un supplemento dedicato alla settimana della moda milanese.
Quella che “il Giornale” si è assunto è una responsabilità gravissima e averla motivata con la necessità di “conoscere per combattere” non l’attenua di un grammo. Perché seguendo questo percorso logico si può giungere tranquillamente alla conclusione che per combattere i massacratori alla Anders Behring Breivik bisognerà trasformare in un regalo editoriale le eventuali memorie scritte dall’uomo che ha ammazzato in Norvegia settantasette persone.
Sergio Corbucci quarantacinque anni fa portò sullo schermo un film dal titolo: “Il furto è l’anima del commercio!?” E’ evidente che non lo è, al massimo ci potrà essere all’interno della categoria (come ovunque, d’altronde) qualcuno che ritiene che la ricerca dell’utile possa anche andare a scapito del rispetto della legge. Ma se il furto non è l’anima del commercio allo stesso tempo bisogna affermare che il cinismo non può non avere un limite anche in iniziative squisitamente economiche, in particolare quando il suo superamento rischia di offendere la sensibilità della parte della comunità nazionale e mondiale che a determinate ideologie ha pagato il prezzo più alto (complessivamente sei milioni di morti nei campi di sterminio). In questo caso il limite è stato travalicato. E non ci sono motivazioni “storico-scientifiche” che tengano.