-di FRANCESCA VIAN-
Il sovietismo presidium ci dà qualche spunto per osservare lo sguardo di Nenni sui Soviet, nel 1921. In questo periodo, i sovietici considerano freddamente sia il Partito socialista italiano, sia Giacinto Menotti Serrati, direttore dell’Avanti!, il quale “rifiutava ostinatamente di applicare in modo non autonomo le 21 condizioni dell’Internazionale comunista (…), in nome della peculiarità della tradizione socialista italiana” (Enzo Santarelli, Nenni, 1988). L’atteggiamento dei sovietici si desume anche dalla bella vignetta di Scalarini, che ho tratto dall’Avanti! del 17 novembre 1921 (Mi avete scacciato; ma l’anima mia è rimasta con voi!).
Nenni, come corrispondente da Parigi, è così attento all’esperienza dei Soviet, che introduce per primo in Italia il termine presidium, staccando di molto anche i comunisti (il primo di essi a utilizzare il sovietismo è Umberto Terracini, in una scrittura privata, cioè nell’intestazione a una lettera all’Internazionale, l’8 marzo del 1923; fonti Orioles 2006; Vian 1992).
Presidium è una parola latina che significa “aiuto, difesa, protezione”, e anche “guarnigione difensiva”. Con questi significati dilaga in Europa nel corso dei secoli. In Germania “prӓsidium” si specializza nel significato di “organo direttivo del parlamento, dotato anche di speciali funzioni giudiziarie”. E’ un’accezione diversa da quella originaria, che viene poi trasmessa alla Russia dei Soviet. Il Soviet Supremo si dota di un prezidium; e altrettanto fa il 26 agosto 1921 l’Internazionale Comunista. Dall’Internazionale il termine rientra in tutta Europa con l’accezione sovietica, e per la sua forma quasi latina, viene facilmente raccolto dalle principali lingue europee.
In Francia, il presidium viene contestato dai comunisti, riuniti in Congresso. Nenni scrive dei congressisti: “la loro propaganda è più frondista, che rivoluzionaria e comunista e quanto poi al centralizzare le funzioni direttive, per rendere più agevole l’azione, ebbene, quasi tutti gli oratori hanno combattuto l’idea di formare, come consigliava l’Internazionale, un “presidium” di cinque membri a lato della Direzione del Partito, considerando come dittatoria e anti-democratica una simile innovazione. Gli oratori che hanno difeso il “presidium” sono stati scarsamente ascoltati” (Pietro Nenni, Questione personale o questione politica?, Avanti!, 30 dicembre 1921, pagina 1).
Come corrispondente da Parigi per il quotidiano socialista, Nenni si spende molto per la Russia, sia per il riconoscimento della sovranità dei Soviet, sia per gli aiuti internazionali alle popolazioni del Volga, attanagliate in una morsa di fame, a causa di una gravissima siccità nel 1921. Nenni si sforza di comprendere anche le incoerenze e le durezze di uno stato in rivoluzione, ma senza schematismi, dal momento che… Nenni è sempre Nenni.
Data la freddezza verso il suo direttore, Nenni si toglie anche raramente qualche sassolino dalla scarpa. Ad esempio non riesce davvero a mandare giù che i bolscevichi accettino il pranzo del re Vittorio Emanuele, a Genova, durante la Conferenza Internazionale del 1922.
“I bolscevichi sono andati al pranzo reale, a bordo della Dante Alighieri, e pare che la gente, che fino a ieri li ha chiamati assassini della famiglia dello czar, sia molto contenta di questo fatto. (…) Per conto nostro abbiamo appena bisogno di dire che speravamo di non vedere i bolscevichi a pranzo dal re in una di quelle manifestazioni dinastiche che non hanno nessun valore politico, ma che rientrano nel piano ordinario della propaganda monarchica. (…) La nostra sorpresa e la nostra deplorazione (ha) ragione di esprimersi con la più grande fermezza. Noi ci rendiamo conto della difficile situazione nella quale i rappresentanti del Soviet si sono trovati a Genova, e ci siamo ben guardati dall’erigerci a critici o a censori delle concessioni politiche che hanno dovuto fare. Ma mancheremmo altresì ad un dovere di sincerità se non dicessimo che consideriamo un errore politico, anche per la sterilità assoluta dei suoi risultati, il pranzo accettato alla tavola del re. Ciò non giova alla politica dei bolscevichi, ciò non giova soprattutto alla posizione di intransigenza che i comunisti avevano assunto (…) contro tendenze socialiste che non avevano mai fatto di queste concessioni, sia pure formali. Questa sera, a re partito, colla circolazione riattivata, con i cordoni di truppa spariti, a lumi fugati, Genova, sotto un sereno magnifico, ha ripreso il suo aspetto di città operosa” (Pietro Nenni, Il re a Genova. Parata, sciocchezze, pranzi e pioggia, Avanti!, 23 aprile 1922, pagina 6).
C’è un interessante presidium, anche in Eugenio Montale. Nel Corriere della Sera del 28 luglio 1948, in una satira dei regimi totalitari, il premio Nobel per la letteratura inventa un “poeta nazionale” epurato dal presidio del generale Mirko, e spedito in mezzo alla neve, ai lavori forzati. Quando il presidio si scioglie e viene sostituito da un triumvirato, il poeta nazionale non cambia il suo destino: finisce in un silurificio, “sottoterra o quasi” (ripubblicato in Eugenio Montale, Prose narrative, Oscar Mondadori).
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