-di SANDRO ROAZZI-
Mano pesante della recessione anche sulla sanità degli italiani. Secondo un rapporto Censis sono 11 milioni gli italiani che hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie, vale a dire due milioni in più rispetto al 2012. E la cosiddetta sanità negata unifica anziani e giovani poveri: 2,4 milioni i primi, 2,2 milioni i secondi. L’analisi del Censis mette in luce che al di là delle apparenze e di tradizionali limiti (vedi le liste di attesa) nella sanità italiana si sta verificando una involuzione a scapito dei ceti sociali più deboli.
Cresce la percezione di un peggioramento dei servizi pubblici mentre sale la spesa sanitaria privata arrivata a 34,5 miliardi di euro (+3,2% in termini reali negli anni più duri della crisi 2013-2015 e con la deflazione in azione). Ovvero come si dice nel rapporto “più sanità per chi può pagarsela”. In contemporanea emerge un altro fenomeno: lievitano i ticket pagati dagli italiani in conseguenza delle difficoltà dei bilanci degli enti locali e regioni, tanto che quasi un italiano su due ha pagato tariffe nel privato uguali o di poco superiori a quel che sarebbe avvenuto con i ticket del pubblico.
Questo deterioramento va scapito, come si è detto, della parte più povera della popolazione, mentre al tempo stesso spinge chi può permetterselo a guardare a forme di sanità integrativa. Si sta creando insomma un terreno fertile, perché non governato, per nuove diseguaglianze che paradossalmente potrebbero accrescersi con l’ingresso sempre più… invasivo nella contrattazione aziendale di forme di welfare sanitario che riguardano però il lavoro dipendente di imprese o gruppi più strutturati e con una tradizione già consolidata in questa direzione, mentre nulla o quasi è possibile fare per i milioni di lavoratori impiegati nelle piccole imprese. Intendiamoci: questo capitolo del negoziato aziendale può produrre effetti positivi, supportato per giunta da agevolazioni pubbliche, ma lascia del tutto inevaso il tema di come intervenire nei territori per evitare che si creino differenze di trattamento a scapito di milioni di lavoratori.
La questione sanità non è di poco conto se consideriamo inoltre che da un lato la quota di cittadini anziani sta crescendo in modo esponenziale e quella dei giovani precari o disoccupati resta pur sempre uno dei maggiori problemi della nostra economia, in una fase nella quale non si può chiedere aiuto alla fiscalità generale che invece deve calare. Occorrerebbe una attenta ricognizione del nostro sistema sanitario che non può accumulare allo stesso tempo costi più elevati, tempi di attesa troppo lunghi, divaricazioni sociali sempre più profonde nell’esercizio del diritto alla salute. Una prima risposta potrebbe arrivare da una ancor più decisa lotta agli sprechi ed ai disservizi, ma non basta. La malasanità è una pianta cattiva da estirpare, mentre però si programma il futuro. Resta un punto fermo, la tradizione. Ovvero guai a toccare i medici di famiglia agli italiani. Sul resto però, sembra proprio che ci sia moltissimo da ri-fare.