Le donne, Hillary e un dibattito

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-di ANTONIO MAGLIE-

Ieri pomeriggio si è svolta nella sala dell’enciclopedia Treccani, per iniziativa della Fondazione Nenni e della Croce Rossa (rappresentata dall’amministratrice dell’ Ente Strumentale, Patrizia Ravaioli che ha moderato il dibattito a cui ha partecipato la segretaria confederale della Uil, Silvana Roseto) la presentazione di due bei libri di Giulia Bongiorno (“Le donne corrono da sole) e di Myrta Merlino (“Madri”). Al centro delle due opere, seppur analizzata da versanti diversi, la questione mai risolta dell’allineamento dei piani tra donna e uomo, i ritardi della società nel definire un welfare adeguato a una società evoluta, i limiti culturali di un Paese che attraverso fenomeni tragici come quelli del femminicidio, coltiva sotterraneamente e in forme avvelenate i vecchi difetti del maschilismo e una idea fortemente patriarcale dei rapporti di coppia. Per uno di quegli strani e fortunati casi che forniscono al racconto della vita un contenuto particolare, mentre a Roma la Bongiorno, la Merlino, la Roseto e la Ravaioli discutevano, in California gli elettori democratici si svegliavano e, votando, decidevano i destini della nomination per la corsa alla Casa Bianca. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti una donna, Hillary Clinton, conquistava la matematica certezza di competere per la più prestigiosa carica nazionale e per la più influente poltrona mondiale. Parafrasando l’astronauta Armostrong al momento della prima passeggiata sulla luna, un piccolo passo per le donne, un grande passo per l’universo femminile.

Nella vita i simboli contano. Ma, purtroppo, non bastano. E il dibattito ha fornito l’occasione per sfiorare un tema estremamente caldo e preoccupante nel nostro mondo che non è quello dei grandi confini americani: la crisi demografica. Il presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha ritenuto di risolvere la questione annunciando un irrobustimento del “bonus bebè”. Un pannicello caldo. Un vecchio proverbio dice che nel mondo dei ciechi chi ha un occhio solo è il re. Dato che su questo tema da troppo tempo siamo ciechi, allora vuol dire che Renzi si è guadagnato il diritto se non a essere monarca, quanto meno a ricoprire il ruolo di “delfino”. Ma è evidente che siamo lontani, molto lontani dalla soluzione del problema. Che non è solo morale (una società che rinuncia a far figli rinuncia al futuro e alla sua anima più profonda), ma è anche prosaicamente materiale come ha sottolineato in un libro Thomas Piketty. Il Pil, infatti, è uno strano ircocervo: per metà determinato da fattori economici e per l’altra metà da fattori demografici. Questo significa che cresce se cresce anche la popolazione. In Italia la popolazione non cresce, anzi regredisce e il Pil ristagna. Non è un caso che il boom economico a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta sia stato accompagnato dal famoso “baby boom”. Non è un caso che la Cina, nel momento in cui la sua crescita ha rallentato, abbia annunciato la cancellazione della politica del “figlio unico” e dubitiamo che i dirigenti politici di quel paese siano stati improvvisamente colpiti da una irrefrenabile passione per la paternità.

Le domande sono semplici: perché ci si sposa sempre meno? Perché si fanno sempre meno figli? Sino a vent’anni fa la risposta era chiara: la società italiana nella sua evoluzione aveva riconosciuto alla donna a livello formale il diritto a essere allo stesso tempo madre e lavoratrice soddisfatta ma a livello sostanziale continuava a negarglielo (o a renderlo praticabile a costo di enormi sacrifici) dimenticandosi di adeguare le strutture di welfare modellate, al contrario, su un Paese in cui l’unico ruolo riconosciuto alle esponenti di sesso femminile era quello dell’ “angelo del focolare” (la tenuta della casa, l’educazione dei figli, l’assistenza ai genitori anziani e/o malati). Vent’anni dopo quella risposta, pur ancora valida, appare ampiamente incompleta.

La crisi demografica sembra oggi, a sua volta, figlia di altre due crisi. Tanto per cominciare, di quella economica, cominciata nel 2007, esplosa fragorosamente nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers e il tornado dei mutui subprime, riesplosa nel 2011 con lo tsunami dei debiti sovrani e ancora oggi lungi dall’essere completamente domata come conferma un Pil che cresce a livello di prefissi da telefono fisso. Con una disoccupazione che naviga ben oltre l’11 per cento, un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa e un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti dell’Unione (più vicino al quaranta che al trenta per cento) pensare a contrarre matrimonio e, successivamente, mettere al mondo figli, più che un atto di fede finisce per apparire una impresa ardimentosa.

L’incertezza determinata dalla crisi in Italia si è aggiunta all’incertezza esistenziale creata negli ultimi vent’anni con l’esplosione di una creatività contrattuale che ha prodotto un solo frutto: la generazione “usa e getta”. E’ stato stabilito, infatti, che l’era del posto fisso era finita, che bisognava fare i conti con un futuro in cui avremmo cambiato spesso luogo di lavoro se non proprio il lavoro. Peccato che il mercato italiano non sia quello americano e se tu (soprattutto al Sud) perdi oggi il posto non sei sicuro di ritrovarlo domani, anzi non sei sicuro di ritrovarlo nemmeno tra due, tre o quattro anni. Sino a quando le cose sono andate decentemente, la logica della flessibilità è parsa dare i suoi risultati con i tassi di disoccupazione che formalmente scendevano sino al 6,5 per cento. Nessuno, ovviamente, faceva caso al fatto che quei posti comparivano e scomparivano con la stessa velocità dei conigli dal cilindro del mago Silvan, che erano il frutto dello spacchettamento di lavori un tempo anche appaganti da un punto di vista economico. Insomma, nessuno ha dato peso alla “qualità” e molti (non tutti) si sono consolati con la quantità assecondati in questa opera consolatoria da media sempre molto attenti a santificare le magnifiche sorti e progressive del liberismo rapace.

Domanda: non si fanno figli perché mancano gli asili nido o non si fanno figli perché il presente è incerto e il futuro nebuloso? Il bonus bebè può anche andare bene ma non è che prima bisogna dare un taglio netto all’insicurezza esistenziale e generazionale? Possiamo dire veramente di aver messo una pietra sopra la precarietà di quelle giovani generazioni che dovrebbero garantire l’avvenire di questo paese anche procreando, con contratti a tutele crescenti che hanno un tempo indeterminato che nella migliore delle ipotesi non va oltre i tre anni e con la proliferazione dei voucher che ci traghettano dal “semplice” sfruttamento a forme di vero e proprio schiavismo? Come diceva Renzo Arbore: meditate, gente, meditate.

 

 

 

 

 

antoniomaglie

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