Il prossimo 27 agosto Sebastian Kurz, ministro degli esteri quasi imberbe di un’Austria che precipitando in una crisi di nervi ha smarrito diversi principi democratici forse anche per la vicinanza di alcuni paesi dell’ex blocco sovietico profondamente ammalati di nazionalismo, compirà ventinove anni. Gli si potrebbe regalare un viaggio in Siria o a Falluja con ritorno in Italia a bordo di un gommone di quelli che ai passeggeri non offrono nemmeno il conforto di un salvagente. Forse cambierebbe idea e non riterrebbe più utile trasformare Lesbo e Pantelleria nelle nostre Ellis Island, isole in cui mettere in quarantena (come facevano gli americani) gli immigrati in attesa di asilo. Gli si potrebbe anche regalare una escursione turistica nei campi profughi di Papua Nuova Guinea o di Nauru dove a suo parere gli immigrati vengono accolti per essere poi rispediti nei paesi di provenienza con metodi, secondo le organizzazioni pacifiste e umanitarie, non propriamente commendevoli. La ricetta non è stata partorita dalla mente di uno stratega della gestione dei flussi migratori. Ma una cosa è certa: se per risolvere i problemi del duemila dobbiamo fare un tuffo all’indietro di oltre un secolo, allora bisogna veramente dubitare della capacità di questa classe politica europea di gestire il futuro e, dunque, il cambiamento. Ed essere giovani, come dimostra Kurz, non è detto che aiuti