Europa, più integrazione contro la dissoluzione

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-di SANDRO ROAZZI-

Quando c’è il rischio di meno integrazione (europea) vedi Brexit, è allora che si deve reagire con più integrazione. Parole del Ministro dell’economia Pier Carlo Padoan a Trento. Una risposta alle preoccupazioni crescenti per l’esito del referendum inglese anche perché come ha osservato il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, presente allo stesso evento, un esito negativo per la permanenza europea potrebbe scatenare voglie di emulazione in altri Paesi, rafforzando in conclusione nazionalismi e rigorismi a senso unico.


Queste considerazioni sono un po’ il termometro della difficile situazione europea. Si fronteggiano i fautori di regole rigide ma che hanno procurato con l’austerità eccessiva disoccupazione, diseguaglianze e stagnazione, contrapposti a coloro che temono di veder franare l’euro e l’idea stessa di Europa e chiedono una diversa direzione di marcia, faticando però a convincere gli altri sulle loro effettive “buone” intenzioni. Ovvero che non sono frutto di furbizie contingenti ma di scelte strategiche. Non a caso il governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy indica, sempre a Trento, nel 2017 l’anno decisivo per la nuova governance europea, giusto il modo per far prevalere sulla disgregazione la forza di una più compiuta integrazione. Un confronto assai complicato anche perché proprio Visco fa notare che senza la messa in comune del debito il tentativo di arrivare in porto potrebbe essere frustrato da un possibile naufragio. E soprattutto nell’Europa del nord, Germania in testa, solo l’allusione ad unificare i vari debiti suscita fortissima repulsione.

Eppure come dicevano gli antichi romani la goccia scava la pietra. Non è un caso che perfino nel Fondo Monetario le critiche agli eccessi di rigore e di liberismo si facciano sempre più forti. Procedere su quegli orientamenti finirebbe per rendere insostenibile la situazione ben oltre gli orizzonti europei. Resta però l’interrogativo sulle alleanze necessarie per andare avanti che chiama in causa la politica. Italia e Francia ora paiono più vicine ma occorrerebbe che almeno la sponda più di sinistra della politica tedesca abbracciasse una visione dell’Europa meno egoistica. Nel frattempo l’impressione è che possa crescere il ruolo del nostro Paese più attento alle ragioni dell’economia reale e che trova la sua migliore espressione nell’accorto operato del Ministro Padoan. Un ministro dell’economia dunque che appare lontano da esibizionismi ma risoluto senza clamori ad esercitare una funzione di spinta come poche volte era successo con i suoi predecessori, con l’eccezione spesso peraltro contestata del Ciampi ‘”europeo”.

Tanto che a Trento Padoan ha preso le distanze da elargizioni facili in materia di fisco: la riduzione per le imprese è prevista, quella per le famiglie dipenderà dalle risorse disponibili. Certe compatibilità non vanno scavalcate disinvoltamente, insomma, pena la perdita di credibilità complessiva. Non solo: Padoan si espone anche su un altro tema caldo che investe però il ruolo del Governo, quello del modello contrattuale. E traccia una linea di confine fra quel che si deve e non deve fare piuttosto netta ma che potrebbe non piacere dentro e fuori il Governo: ci si può spingere in avanti con gli incentivi alla contrattazione aziendale, sostiene il Ministro, ma mettere mano al modello contrattuale è compito delle parti sociali. Nessuna invasione di campo, allora, anche se la direzione di marcia sembra comunque quella di favorire la contrattazione in azienda.

Ma è soprattutto un innegabile segno di distensione verso i sindacati impegnati in importanti rinnovi contrattuali che, se risolti positivamente, aiuterebbero anche un po’ la domanda interna. Il tutto in un bilanciamento di posizioni che fa comprendere bene quanto sia difficile il momento e quanto lo sia se si vuol governare guardando non solo all’oggi ma anche al domani.

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