E se non bastasse il taglio lineare della politica?

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Matteo Renzi, si sa, usa il populismo a fini “istituzionali”. La cosa può apparire un ossimoro ma in realtà non lo è. La conferma è arrivata da Milano, in particolare dal “The Future Makers 2016”. Sventolando la bandiera popolar- populistica con la quale da tempo “promuove” la sua riforma istituzionale e aggirando tutte le altre questioni di merito (e sono tante, al di là del fatto che si sia dalla sua parte o contro di lui), ha affermato: “Se vinciamo il referendum un politico su tre va a casa, per questo sono tutti contro di me”. Il calcolo si basa evidentemente su un pezzo della politica, quella che si esprime attraverso le rappresentanze parlamentari ma negli anni questo Paese ha moltiplicato le poltrone e i “cimiteri degli elefanti” in cui i “trombati” vengono accolti e amorevolmente accuditi. Dunque, dubitiamo che le cose andranno realmente nella maniera da lui illustrata. Se poi la vogliamo mettere proprio sul calcolo banale, allora una riforma che avesse salvato il Senato semmai riducendo a 250 i suoi membri e dimezzato la Camera avrebbe prodotto risultati addirittura aritmetici migliori. Ma temiamo che la causa che scatena il populismo non sia tanto il numero quanto la qualità del numero perché chi ci garantisce che chi resta sia eticamente migliore di chi va via? Come si usa dire: non preoccupa tanto chi non c’è ma chi c’è.

 

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