L’addio a Pannella, l’addio alla Politica

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-di ANTONIO MAGLIE-

La partecipazione popolare al cordoglio per la scomparsa di Marco Pannella ha sorpreso la stragrande maggioranza degli osservatori. In fondo, una parabola molto pannelliana: leader di una piccola, risicatissima, molto spesso sbertucciata minoranza che metteva in moto grandi masse e poco importa se, come sostiene Emanuele Macaluso, sul divorzio la vittoria fu determinata dal contributo del capillare apparato comunista (che si mosse, però, solo dopo aver rincorso sino all’ultimo un improbabile accordo con la Dc, pungolato dai socialisti, dai laici e dalla straordinaria determinazione del capo radicale). Ma se la sorpresa non è infondata allo stesso tempo si potrebbe dire, ricorrendo a un giro di parole forse non elegantissimo, che in fondo questa mobilitazione corale degli affetti è meno sorprendente di quanto possa apparire.

Semmai è stupefacente che in tanti si siano scoperti pannelliani. Beppe Grillo ne ha subito approfittato per trasformare le battaglie referendarie dei radicali nell’anticipazione della sua idea di democrazia diretta. In realtà non si ricorda una passione antica tanto viscerale del comico per il leader scomparso né, sinceramente, si riesce a trovare nell’uno vale uno del Movimento 5 stelle che si trasforma “nell’uno vale uno, ma decide uno solo”, qualcosa che si identifichi con la straordinaria creatività con la quale Pannella e i radicali riuscirono a trasformare un marchingegno istituzionale appena messo a punto (le legge fu approvata solo nel 1970 e servì per far passare solo dopo qualche mese in parlamento il “divorzio” mettendo nelle mani della Dc l’arma di riserva) in un grande megafono politico, in uno strumento che consentiva a tutti di accedere al momento della decisione. Ma senza rifiutare la politica. Lo stesso Pannella, l’uomo che ci aveva fatto scoprire i piaceri della democrazia diretta, poi non disdegnava di impegnarsi e di cercare spazi sul versante della democrazia rappresentativa. E facendolo non tradiva sé stesso e la sua idea, semplicemente sovrapponeva i piani rendendosi conto che il primo poteva essere funzionale al secondo, non li contrapponeva ma li integrava.
Perché in quell’Italia di grandi scontri, anche di grandi lutti, non si era appassita la voglia di una politica nuova capace di farci uscire da una società bigotta, che emanava odori di incenso e sagrestia. C’era una spinta formidabile verso il rinnovamento, una strada aperta prima dagli entusiasmi del centro-sinistra, affievolitisi nel corso del tempo, anche a causa del famoso “tintinnar di sciabole” di cui parlava Pietro Nenni, poi dalle lotte studentesche del sessantotto e da quelle operaie dell’anno successivo. I referendum di tutto questo furono in larga misura la continuazione perché realizzarono a livello di evoluzione dei diritti civili quel che era avvenuto con l’Autunno Caldo sul fronte dei diritti del lavoro. Gli italiani affollavano i banchetti annunciando l’arrivo di un’onda lunga che sarebbe arrivata in qualche maniera sino ai giorni nostri, sino alla legge sulle Unioni Civili.
L’addio a Pannella, l’ultimo grande leader del Novecento italiano, è in qualche maniera anche l’addio alla Politica. C’è qualcosa di nostalgico in questo grande e doveroso sommovimento emotivo. Ma c’è anche il timore radicato che quel modo di interpretare la politica, fatto di dibattiti, approfondimenti, confronti, faccia parte di un mondo scomparso, bruciato dentro la logica degli slogan veloci, delle battute superficiali, dei sondaggi che fanno i programmi e non dei programmi che modellano i sondaggi costruendo il consenso sulle proposte e non sugli umori popolari. La politica fatta di grandi intuizioni e anche di grandi contraddizioni come quella in cui cadde proprio il leader radicale quando nel 1985 in occasione del referendum della scala mobile, provò a convincere Craxi a puntare sul mancato raggiungimento del quorum, cioè sul sostanziale boicottaggio dello strumento che proprio lui aveva esaltato. Esaltato e, in qualche maniera, indebolito con la sua seriale riproposizione su temi troppo complessi per essere risolti con un “sì” o un “no” (lo sottolineò Norberto Bobbio quando in un articolo per “La Stampa” affermò che “un tale modo di porre la domanda può valere per le grandi questioni di principio, monarchia o repubblica, matrimonio o divorzio, liceità o illiceità dell’aborto, domani dell’eutanasia”). Piazza Navona come luogo rappresentativo di una parabola: lì cominciò l’utopia dei diritti civili, lì abbiamo salutato insieme a un uomo, forse la speranza di una politica futura recuperata alla grandezza delle idee, al coraggio delle scelte, alla creatività dei “visionari”.

antoniomaglie

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