-di ANTONIO MAGLIE-
Si potrebbe cominciare con un piccolo quiz. Chi ha pronunciato queste parole? “Chi accumula ricchezze con sfruttamento, lavoro in nero, contratti ingiusti, è una sanguisuga che rende schiava la gente. Il sangue di chi è sfruttato nel lavoro è un grido di giustizia al Signore. Lo sfruttamento del lavoro nero, nuova schiavitù, è peccato mortale”. Sarebbe bello poter rispondere: un leader politico (uno dei tanti che in questa Italia fatta di partiti personali, polverizzazione della rappresentanza, caduta degli ideali prima ancora delle ideologie) colto da improvviso rinsavimento sociale e, perché no, anche socialista. Ma non è così. Sono parole di papa Francesco, pronunciate durante la messa a Santa Marta, parole che confermano la straordinaria diversità di questo Papa.
Perché se è evidente la difficoltà a concordare con lui quando si toccano le questioni dei diritti civili (ma forse anche su questo versante ci sarebbero differenze da sottolineare tra le sue posizioni e quelle di una gerarchia attardata su certezze decisamente antiche, semmai tra lui e la Cei guidata da monsignor Bagnasco), altrettanto evidenti sono le assonanze tra chi interpreta la svalorizzazione del lavoro come un attacco alla democrazia e lui che la vede come un affronto alla persona. Quelle del Papa, per giunta, non sono sortite estemporanee, una maniera per guadagnare alla Chiesa qualche consenso popolare in un’Italia e in un mondo afflitto dalle conseguenze della crisi e da una trasformazione finanziaria del capitalismo che ha prodotto una diseguaglianza che, come hanno sottolineato gli studi di numerosi economisti, ci ha fatto compiere un balzo all’indietro di oltre un secolo.
Soprattutto il Papa non usa linguaggi diversi, non adatta le parole alle occasioni. Più o meno le stesse cose le disse il 27 febbraio scorso quando ricevendo una foltissima delegazione di imprenditori nella Sala Nervi a Roma parlò di “una economia di tutti e per tutti”, del rifiuto di comportamenti assunti in nome “di esigenze produttive” che calpestano “la dignità dell’uomo”. Lo aveva spiegato partecipando un anno prima a una manifestazione collegata all’Expo esprimendo la sua scarsa simpatia per una società che dà maggiore peso alla perdita di qualche decimale dell’indice di borsa piuttosto che alla morte per inedia di un senzatetto. Lo ha ribadito con grande forza nella enciclica Laudato si’.
Il lavoro come strumento di realizzazione della persona sembra essere scomparso dall’agenda della politica, ridotto a una questione di statistiche, di indici, subordinato in maniera incondizionata a tutte le variabili economiche anche quelle più spietate, trasformato in un oggetto e come tale merce di scambio da acquistare al prezzo più conveniente. Le leggi che proteggevano il lavoro ormai adattate alle esigenze della globalizzazione, compresse da un dumping sociale che ha finito per abbassare rispetto e garanzie. E’ significativo il fatto che le parole del Papa arrivino dopo gli ultimi dati sulla diffusione dei voucher, l’ultima frontiera dell’abbrutimento del lavoro.
Una ricerca dell’Inps del Veneto ha segnalato che in Italia dal 2008 al 2015 due milioni e mezzo di italiani sono stati pagati con 277 milioni di buoni-lavoro da dieci euro lordi (7,50 netti) l’ora; lo scorso anno è stato segnato un record che probabilmente verrà superato in quello in corso: 115 milioni di voucher per pagare circa un milione e quattrocentomila lavoratori; nel primo trimestre del 2016 è stata sfondata la soglia dei dieci milioni di biglietti venduti al giorno producendo un incremento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente del 46,6 per cento. Chissà se la politica italiana, soprattutto quei settori che dovrebbero essere maggiormente sensibili alla questione del lavoro sia dal punto di vista dei posti disponibili che della dignità che si deve accompagnare all’esercizio dell’attività richiesta, riusciranno a raccogliere con sollecitudine il messaggio del Papa, almeno con la stessa sollecitudine che hanno mostrato quando si è trattato di utilizzare le prese di posizioni della gerarchia contro la stepchild adoption.