-di ANTONIO MAGLIE-
Può una istituzione democratica fare accordi con un dittatore? Angela Merkel, che venerdì 6 aprile si è commossa e ha condiviso i passaggi moralmente più alti del discorso di Papa Francesco, non ha avuto dubbi, lo scorso anno: sì, ci si poteva accordare, gli si potevano dare quattrini, tanti quattrini (gli stessi che i tedeschi rifiutano in maniera trasversale alla Grecia sotto forma di ridiscussione del debito e a Roma per quanto riguarda la gestione dei flussi migratori in nome dell’intera Unione) per fermare quelle persone in fuga da una guerra a cui lui stava contribuendo per motivi di egemonia geografica e politica, si poteva addirittura lavorare per favorire non l’ingresso di quel Paese ma del suo poco liberale governo all’interno del’Unione europea cominciando dall’allentamento dei controlli sui visti. Il tutto condito con un viaggio ad Ankara alla vigilia di una consultazione elettorale, un incontro in pompa magna che si è di fatto trasformato nel sostegno a un regime che mostra di avere pochissimo rispetto per i diritti civili e per la carta dei diritti dell’uomo.
E’ il vecchio dilemma delle democrazie: si può fare da sponda a personaggi come Recep Tayyp Erdogan, vero e proprio padrone della Turchia, o come il generale Al Sisi, capo di un Paese in cui da troppo tempo le prerogative delle opposizioni vengono calpestate in maniera cruenta sino allo sbocco finale della morte di Giulio Regeni? Matteo Renzi ha affermato che “ciò che avviene in Turchia pone sotto un’altra luce, pone un interrogativo sull’accordo”. Un momento di riflessione sicuramente tardivo ma allo stesso tempo positivo, accolto, però, dall’indifferenza generale dell’Unione che si genuflette in Vaticano e poi volta lo sguardo dall’altra parte per non vedere ed essere di conseguenza costretta, a causa della sua incapacità a costruire politiche comuni, a rifiutare la contiguità di compagni di viaggio molto più che indesiderabili, inaccettabili per chi crede nei principi di democrazia.
Tra questi principi c’è quello relativo alla libertà di stampa violato da Ankara senza alcun tentennamento con la condanna di Can Dundar, direttore del giornale di opposizione “Cumhuriyet” a cinque anni e dieci mesi di detenzione per aver sollevato il velo dei traffici d’armi che dalla Turchia portano alla Siria. “Violazione del segreto di Stato”, a parere dei giudici al servizio di Erdogan e di un governo (peraltro in questo momento senza premier) che non riesce a proteggere nemmeno i suoi “imputati” visto che Dundar, all’uscita dal tribunale, è stato vittima di un attentato.
Tra i principi democratici rientra la divisione dei poteri e il conseguente rispetto di questa ripartizione. Ma quando la Corte Costituzionale, dopo novanta giorni di carcere in isolamento di Dundar, ha stabilito che il giornalista dovesse essere liberato perché le accuse riguardavano una attività (la divulgazione di notizie) pienamente in linea con la sua professione, Erdogan si è affrettato sottolineare che non riconosceva la legittimità di quella decisione. E, allora, torna la domanda: si possono fare accordi con l’uomo che oggi domina la Turchia? Si possono aprire, a sua gloria e vantaggio personale, i cordoni della borsa europea alla cui alimentazione provvediamo anche noi italiani con le nostre tasse che poi dobbiamo pure sorbirci le lezioncine del presidente della Bundesbank tedesca? E’ giusto spalancargli i confini dell’Unione mentre li chiudiamo a coloro che fuggono da una guerra alla cui esplosione lui ha offerto un decisivo contributo? O non lo si dovrebbe dichiarare, come normalmente si fa per le persone che mostrano di non poter o voler o saper rispettare le nostre leggi e i nostri principi, “persona non grata”?